A differenza del confine amministrativo interno, quello sul Siculum Fretum (lo Stretto di Messina) era un vero e proprio confine politico, ancorché interno allo Stato romano.
La Sicilia fu per la prima volta nella sua storia laboratorio politico. La formula della “Provincia”, infatti,
una volta brevettata per la Sicilia, sarebbe stata usata di lí a poco per la “Sardinia et Corsica” e via via per gli altri possedimenti romani, sino a diventare il modo normale per organizzare le conquiste di una formazione politica dai confini sempre piú ampi.
Diverso era stato per l’Italia. Questa era stata associata a Roma in una Confederazione con vincoli differenziati e complicatissimi, diversi da città a città. Con il noto Divide et impera ad alcuni municipi era stata data la piena cittadinanza romana, ad altri quella “latina” (una sorta di cittadinanza di serie B), ad altri ancora un vincolo “federale”, in pratica un’alleanza stabile come quelle che la stessa città di Roma concludeva con città e stati fuori dalla Penisola: Messina, Marsiglia, Atene, per fare solo tre famosi esempi.
Se già nell’antichità greca la distinzione tra Italia e Sicilia, e tra Italioti e Sicelioti, era stata netta e politica, non certo solo geografica, ma pur sempre nel quadro di una sicura comunanza culturale, in epoca romana la frattura tra Sicilia e Italia è totale: lo Stretto di Messina segnava a Sud, come il Rubicone e l’Arno a Nord, lo spartiacque tra dominatori e dominati.
Nel tempo queste differenze però andarono sfumando.