Lingua e letteratura latina di Sicilia (II parte)

L’età sveva:

La fase “sveva” della storia siciliana, durante il lungo regno dell’Imperatore Federico II e poi del figlio Manfredi, segna un periodo in cui la letteratura latina fu finalmente grande. È pur vero che in questo stesso periodo nasce anche la letteratura volgare, e quindi la Lingua Siciliana scritta, ma questa è ancora soltanto lingua di poesia, incapace di sostituire il latino in tutti gli usi “seri”, siano essi quelli amministrativi o quelli scientifici, che invece ora sono in grande rigoglio in Sicilia. In questa fase troviamo pure finalmente autori latini siciliani, sebbene siano ancora molto pochi in relativo ai non pochi immigrati o ai “meridionali” della parte continentale del Regno.

Il tratto di quest’epoca è che la latinizzazione dell’Isola, iniziata con l’invasione normanna, prende finalmente l’accelerazione che porta le altre lingue e religioni dell’isola o alla rapida scomparsa (come con gli arabi) o al declino o all’emarginazione (come con i greci e gli ebrei). Già l’ultimo re normanno, Tancredi, aveva abolito l’uso corrente del greco nella cancelleria regia a favore del latino (siamo nel 1190, ma ancora – fino alle successive Costituzioni di Melfi – le leggi sarebbero state scritte anche in greco) che, a parte l’uso da “ghetto” dell’arabo per i pochi musulmani rimasti, diventa così l’unica lingua ufficiale dell’isola.

Lingua e letteratura latina di Sicilia (I parte)

Il latino nella Sicilia antica:

Il latino come lingua arrivò in Sicilia con le prime due Guerre Puniche (seconda metà del III sec. a. C.) con le quali l’Isola fu conquistata e trasformata in Provincia dell’Impero romano. Da quel momento in poi nessuna lingua avrebbe avuto in Sicilia una presenza così continuativa e diffusa, fin quasi a giorni nostri.

E tuttavia la sua sorte è stata sempre ben strana. In pratica il latino, in quanto tale, non è stato mai o quasi “lingua viva” ma sempre e solo lingua formale, ufficiale. Poi, il maggiore impatto di questa lingua non si sarebbe avuto nell’Antichità, ai tempi dei Romani veri e propri, ma nel Medio Evo e nel successivo Evo Moderno, quando il latino rappresentò a lungo in Sicilia la lingua dotta, dell’alta cultura e del diritto, in un certo senso la “lingua ufficiale” del Regno di Sicilia, però mai del Popolo Siciliano in quanto tale.

Quando i Romani costituirono in Sicilia la loro prima “Provincia” trovarono una terra evoluta, con una cultura alta “rappresentata” in Greco, persino nella parte occidentale che per prima fu organizzata sotto la loro amministrazione. La presenza e il radicamento del greco erano tali che, per tutta l’Era repubblicana, il latino restò in Sicilia soltanto la lingua degli occupanti stranieri. È vero che i Siculi dovevano parlare ancora la loro, piuttosto simile al latino, ma ciò portò soltanto ad una lenta assimilazione precoce (rispetto ai sicelioti) alla nuova lingua forse senza mai realizzare un passaggio perfetto alla stessa.

Lingua e letteratura araba di Sicilia (e delle altre lingue semitiche)

Le lingue semitiche in Sicilia prima degli Arabi:

Come è noto l’arabo giunse in Sicilia sull’onda dell’invasione saracena, iniziata a Mazara nell’827 d.C.

L’arabo appartiene al gruppo delle lingue semitiche, le quali, però, non erano a quel punto del tutto sconosciute nell’Isola.

I primi popoli semitici con i quali vennero in contatto i Siciliani furono i Fenici o Puni, i quali costituirono, a partire dalla prima metà dell’VIII sec. a. C. i loro “empori” qua e là sulle coste dell’Isola. Questi dovevano essere all’inizio dei fortini permanenti, abitati da pochissime persone, che servivano per favorire gli scambi con le popolazioni native e come base per le lunghe navigate trans-mediterranee di cui si gloriarono i Fenici sul finire dell’Età del Bronzo.

La colonizzazione greca, più massiccia, a partire dalle ultime decadi dello stesso secolo, costrinse i Fenici a smobilitare nelle zone di maggiore presenza ellenica e di rafforzarsi in alcuni presidi nell’estremo occidente dell’Isola, da dove avrebbero potuto avere la protezione dall’unica grande colonia di popolazione che la città di Tiro aveva fondato, Cartagine, già sul finire del IX secolo a. C. (si ricordi la leggenda della regina Didone, fondatrice della grande città punica). Da questa concentrazione i quattro fortini dell’Ovest (Mozia, Trapani, Palermo e Solunto) diventarono vere e proprie cittadine, che man mano crebbero di popolazione ed importanza.

Per quanto riguarda la lingua, che più qui ci interessa, tuttavia nell’Antichità si nota un fenomeno in apparenza paradossale. Man mano che le piccole città-stato fenicie si venivano legando sempre più a Cartagine, che finì per considerarle un vero e proprio dominio o provincia (“epicrateia” dicevano i Greci), etnicamente queste città si popolavano di gente affluita da altre parti dell’Isola, e quindi di lingua sicula o greca.

Lingua e letteratura siciliana greca (III parte)

L’età saracena:

Durante l’invasione saracena la letteratura greca si restringe e decade man mano che gli arabi avanzano. Nelle terre da loro conquistate il greco è ancora la lingua liturgica dei cristiani sottomessi, mentre – come lingua parlata – si divideva il campo al solito con quella di ceppo latino. È probabile che questa parte di popolazione, concentrata di più nel Val di Mazara, si sia convertita più ampiamente all’Islam di quella greca.

Sta di fatto che la presenza di comunità di lingua greca nella parte occidentale dell’Isola sia quasi sparita, tranne a Palermo, dove la lingua greca era ancora parlata alla venuta dei Normanni da parte di una piccola comunità. Più cospicua la comunità dei greco-siculi in Val di Noto, ma ancor di più in Val Demone, dove si rifugiarono in gran parte i cristiani dell’isola. I nomi, le iscrizioni sopravvissute, ogni reperto di quell’epoca, ci parla di un mondo che parlava greco quando ormai i legami con l’Impero Romano d’Oriente si erano troncati, segno di una vitalità propria di questa lingua, almeno in una parte del Popolo siciliano.

Forte in quegli anni è l’esodo di Siciliani, di ogni lingua, verso le terre dell’Impero bizantino, ma soprattutto verso la Calabria e il Salento, che videro rafforzare i legami già forti con la Sicilia, sia per l’afflusso di elementi che parlavano il più antico Siciliano, sia per la componente propriamente greca, che in Calabria addirittura appare ora prevalere su quella latina.

Lingua e letteratura greca di Sicilia (II parte)

L’età ellenistica:

A differenza della Grecia propria e dell’Oriente la Sicilia non conobbe un vero e proprio Ellenismo dal III secolo a. C. in poi: mancavano le grandi monarchie assolute (quelle siciliane erano sempre un po’ “repubblicane”), restava la forte autonomia delle città-stato; in una parola la Sicilia si attardava sul classicismo e, non ultimo, fu tra le prime zone elleniche ad essere conquistata da Roma. Tuttavia in questo periodo si ricordano ancora figure importantissime per la storia della cultura mondiale: commediografi, come Apollodoro di Gela, poeti come Teocrito, eruditi poeti/filologi come Mosco, storici/utopisti politici come Evemero di Messina, e scienziati come il grandissimo Archimede, con il quale la Civiltà siceliota – per così dire – chiude nel più glorioso dei modi.

Teocrito, in particolare, vissuto tra il 305 e il 250 a.C. circa, fu l’inventore dell’Idillio o poesia arcadica, o bucolica. Nacque a Siracusa dove arrivò ad operare alla corte dell’ultimo grande re siceliota, Ierone II; poi si trasferì nella raffinata Alessandria d’Egitto, sotto la protezione dei re Tolomei, e infine nell’isola di Cos, dove morì. Di lui ci è pervenuto un corpus di poesie, 30 in tutto, ma sono noti altri titoli oggi andati perduti. Le sue poesie, che poi avrebbero fatto scuola nei secoli, dal poeta latino Virgilio fino alla moda dell’Arcadia nel XVIII secolo, descrivono ambienti pastorali ed agresti, immersi in una natura incontaminata, in cui personaggi mitologici, alcuni dei quali poi ricorrenti nei nomi, quali Tirsi o Dafne, vivono in un mondo semplice, poetando d’amore, spensierati. Non mancano talvolta in questi componimenti, pur un po’ devianti sul cliché della vita pastorale, spunti di vera lirica, descrivendo paesaggi in cui l’anima si rifugia libera, quasi come in un sogno. Fu anche grande cantore, più di altri contemporanei, dell’amore, in particolare di quello infelice e non corrisposto.

Lingua e letteratura greca di Sicilia (I parte)

Le origini:

Il greco, come lingua, fu portato in Sicilia dai primi coloni che arrivarono qui nell’VIII secolo a. C. Da allora la Sicilia cominciò a parlare e scrivere in greco per secoli. La letteratura greca di Sicilia abbraccia un arco di tempo lunghissimo, arrivando ad estinguersi soltanto verso la fine del Medio Evo.

I greci di Sicilia non erano colonizzatori nel senso che sottomettevano le popolazioni originarie ad un dominio straniero. Lo erano nel senso che si stabilivano in Sicilia con le famiglie al seguito e si fondevano, più o meno pacificamente, con gli antichi abitanti dell’Isola.

Quando sbarcarono nell’Isola i Greci vennero con i loro dialetti. La maggior parte di loro, quelli di Siracusa, di Agrigento, di Imera, parlavano il dialetto dorico, lo stesso parlato dagli Spartani e dai popoli del Peloponneso; alcune colonie, invece, soprattutto nella parte nord-orientale dell’Isola, parlavano il dialetto ionico (Messina, Naxos, Catania), lo stesso che si parlava in gran parte delle raffinate colonie greche dell’Asia Minore (Mileto, Efeso) e praticamente lo stesso che si parlava nella stessa Atene. In breve tempo, visto che Siracusa era la capitale della Sicilia greca e Agrigento comunque la seconda città, il dialetto dorico prevalse (al contrario di quello che sarebbe successo in Grecia, dove prevalse quello ionico-attico) facendo sparire l’altro.

Le antichissime lingue di Sicilia

                                                                                  
12669343 233961953604645 1029250526 oLe prime testimonianze storiografiche attendibili che parlano della Sicilia prima dei Greci le dobbiamo proprio ai Greci stessi, ed in particolare a Tucidide, storico scrupolosissimo, il quale ci dice che, a parte i Fenici o Cartaginesi che contendevano le coste ai Greci, le popolazioni autoctone dell’Isola erano tre: la più numerosa era quella dei Siculi che abitavano la Sicilia dal Salso verso est, che sarebbero venuti nell’Isola circa trecento anni prima dei Greci (e quindi alla fine dell’XI secolo, intorno al 1000 a.C). Ad ovest del Salso erano i Sicani. Nell’estremo nord-ovest, essenzialmente nelle città-stato di Segesta ed Erice, trovavamo infine gli Elimi. Sulla venuta dei due Popoli più antichi le memorie storiche degeneravano nella leggenda: più tardi sarebbero arrivati gli Elimi, venuti dall’Asia Minore, e in particolare da Troia, dopo la sua distruzione (e quindi intorno al XII secolo a.C), mentre i Sicani sarebbero ancora più remoti, e addirittura con più di una leggenda sul loro insediamento: una remotissima dalla Spagna, un’altra, un po’ meno antica, dai Liguri d’Italia.

Ancor prima di questi popoli, tutto sommato attestati storicamente, si affonda nella mitologia pura, che favoleggiava di popoli poi estinti misteriosamente: i feroci Lestrigoni, e, ancor prima, i mostruosi Ciclopi.

Perché perdere tempo con le antiche favole greche? Perché dietro queste storie, e sempre più man mano che ci si avvicina ai loro tempi, si scorgono tracce di verità storiche tramandate a voce e pertanto alterate dalla fantasia. La ricerca archeologica più recente, per esempio, ha accertato come vera la notizia sull’insediamento dei Siculi, anche sull’epoca indicata da Tucidide, mentre più confusi, ma non del tutto inventati, appaiono i riferimenti per gli altri due popoli.