Cari Siciliani Liberi,
Il fine settimana a Palma di Majorca dello scorso novembre mi ha aperto tutto un mondo. Naturalmente avevo già sentito parlare dell’EFA (proprio da Siciliani Liberi, l’anno scorso) ma incontrare tutte quelle persone che rappresentano realtà per tanti versi simili alla nostra mi ha fatto capire più concretamente che non siamo soli, che se ci teniamo in contatto tra di noi qualcosa si può fare per la Sicilia, scavalcando il muro di Roma (allegoria politica piuttosto che riferimento geografico).
È stato evidente fin dall’inizio che il desiderio di comunicare le proprie esperienze e ascoltare quelle degli altri si è imposto al di là delle difficoltà linguistiche. Per questo le conversazioni informali tra una sessione e l’altra sono state altrettanto importanti quanto gli interventi programmati dei vari relatori. Ho avuto occasione di conoscere, in particolare, la delegata della Sardegna, Silvia Lidia Fancello, e la collega veneziana, Aline Cendon. Tutte e due mi hanno pregato di rimanere in contatto.
Aline Cendon ha raccontato la situazione di Venezia in termini molto diversi da quelli a cui ci hanno abituato i media di Stato, mettendo in luce una grave situazione politica, in cui un’amministrazione comunale che non risiede nemmeno in città lucra sugli introiti del turismo invece di investirli nelle opere pubbliche, mentre il numero dei residenti è in continua diminuzione a causa di affitti costosi, edifici fatiscenti e poche opportunità di lavoro al di fuori del settore ristorazione, dove gli impiegati sono comunque sottopagati. Non è difficile scorgere analogie con il presente – e possibilmente l’immediato futuro – di Palermo e di altre città della Sicilia.
Un altro incontro interessante è stato quello con la delegata gallese Jil Evans. Oltre alle isole propriamente dette, infatti, l’EFA rappresenta alcuni territori europei che, pur non essendo insulari, presentano situazioni politico-economiche simili a quelle delle isole. La progressiva chiusura delle miniere di carbone durante il secolo scorso ha sbilanciato l’economia del Galles, regione culturalmente e linguisticamente diversa da altre parti del Regno Unito. Il COVID, naturalmente, ha solo peggiorato la situazione. Anche qui da noi, tanti problemi economici e sociali emersi nel secolo scorso (non ultimo il tracollo dell’imprenditoria, con le sue ricadute sociali) richiederebbero un trattamento differenziato rispetto a quello del Paese da cui dipendiamo politicamente.
Negli incontri formali, le Isole Baleari hanno naturalmente fatto la parte del leone, non tanto perché giocavano in casa, ma perché sono stati proprio i loro rappresentanti ad impegnarsi per redigere il rapporto sull’impatto delle politiche UE sulle isole del Mediterraneo. Le Baleari, infatti, sono state particolarmente colpite dagli effetti collaterali del COVID, poiché la loro economia si basa quasi esclusivamente sul turismo che, come sappiamo, ha subito una forte contrazione un po’ ovunque negli ultimi due anni.
Un ritornello che ricorreva puntuale in tutte le sessioni era che, sebbene il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea del 2009 (TFUE: praticamente la nuova denominazione del precedente Trattato di Roma del 1957) riconosca che le regioni insulari dell’Unione devono essere oggetto di speciale attenzione, la teoria non si è mai tradotta in strategie o strumenti specifici con cui affrontare i problemi di questi territori.
Una delle soluzioni proposte per ovviare al problema della vulnerabilità delle isole, che tendono a dipendere da pochi settori dell’economia, è la diversificazione, possibile solo con il recupero dell’indipendenza e della sovranità; altrimenti, come ha detto Margalida Maria Ramos Sastre, portavoce del GOB Mallorca (organizzazione ambientale delle Isole Baleari), l’obiettivo dell’economia sarà la sopravvivenza, piuttosto che lo sviluppo.
Alla riunione preliminare, io ho presentato un rapporto sul turismo in Sicilia, che è stato ascoltato con attenzione dai nostri colleghi EFA e giudicato rilevante anche per altri territori. A tutti noi è stato consegnato il Rapporto sull’impatto delle politiche UE sulle isole del Mediterraneo, commissionato dal MEP per il gruppo Verdi/EFA Jordi Solé i Ferrando e redatto dal Prof. Joan David Daniel Torrens, ordinario di Diritto pubblico internazionale all’Università delle Isole Baleari. Si tratta di una settantina di pagine in inglese, che sto traducendo in italiano e che, con la collaborazione della delegata della Sardegna Silvia Lidia Fancello, sarà pubblicato al più presto. Il rapporto fa particolare riferimento alle Isole Baleari, ma è una lettura utile anche per i riscontri con la situazione siciliana, offrendo una serie di spunti per un simile studio sull’impatto delle politiche europee in Sicilia e la fattibilità di eventuali interventi da parte dell’Unione, volti a sanare criticità simili a quelle descritte nel Rapporto.
Tra queste criticità, soprattutto quelle legate ad alloggi, turismo e opportunità di lavoro sono state discusse durante le sessioni. Nel caso di Venezia (che, come è noto, è una città costituita da una serie di isole), questi tre problemi sono interdipendenti. Maiorca, come è stato proposto da Jaume Alzamora Riera (Segretario Generale del MÉS per Maiorca e membro del Consiglio comunale), avrebbe bisogno di essere governata autonomamente: ciò le consentirebbe, tra l’altro, di gestire meglio i cambiamenti climatici, il problema dei rifiuti in plastica e, dato che il turismo è la principale risorsa economica, di creare degli spazi per l’eccedenza dei turisti.
Interessante il caso della Corsica (rappresentata alla conferenza da Marie-Antoinette Maupertuis, Presidente dell’Assemblea corsa e Vice-presidente dell’European alliance nel Comitato delle regioni), anche in rapporto a quello della vicina Sardegna. La Corsica vorrebbe una cooperazione marittima con le altre isole (particolarmente la vicina Sardegna) senza dover passare attraverso Parigi. Mentre la Francia teme l’opposizione della Corsica a causa del suo forte partito locale, il partito autonomista sardo non ha abbastanza peso a livello nazionale.
Per le Canarie, in quanto appartenenti alla categoria delle “isole periferiche”, esistono politiche specifiche (Articolo 349 del TFUE) ma, se i diritti sono sulla carta, mancano i fondi per applicare i cambiamenti.
Tutti erano d’accordo che la politica UE di coesione non è in grado di affrontare questi e gli altri problemi dell’insularità, per la mancanza di una vera e propria strategia. A tali problemi si fa riferimento nell’Articolo 174 del TFUE, secondo il quale “per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale al suo interno, l’Unione deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, e che un’attenzione particolare deve essere rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.” Per il prossimo bilancio a lungo termine (fino al 2027), la Commissione propone di modernizzare la politica di coesione, che è la principale politica di investimenti dell’UE. In ogni caso, finora le isole sono state generalmente trattate come i territori continentali.
Vorrei concludere questa lettera con una visione positiva, quella di Margalida Maria Ramos Sastre. Secondo lei, bisognerebbe spostare l’attenzione dall’insularità come problema all’insularità come vantaggio: le isole hanno maggiore resilienza proprio perché le loro risorse sono limitate. La presenza del mare implica una grande biodiversità e questo è motivo di speranza. Bisogna pensare a nuove forme di organizzazione sociale ed economica. Penso che su questo spunto potremmo lavorare anche noi.
Emilia Maggio