L’approvazione della giunta regionale per la bozza del decreto di sdemanializzazione del “frammento Fagan” ( delibera n. 252 del 17/05/2022) traduce nei fatti un’intenzione che era stata manifestata gia’ da tempo, ovvero quella di svendere il patrimonio culturale siciliano per ottenere cio’ che non puo’ essere altro che una effimera notorieta’ personale.
L’oggetto da sdemanializzare, si ricordera’, e’ il frammento della lastra VI del lato orientale del fregio ionico del Partenone, orgogliosamente custodito fino all’anno scorso dal Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo. All’inizio di quest’anno, con molta fanfara ed abbondanza di copertura giornalistica, l’assessore regionale Alberto Samona’ e il direttore pro-tempore del museo, Caterina Greco, sono stati ad Atene dove sono stati i celebrati protagonisti della “restituzione” del frammento del Partenone alla Grecia. In realtà di restituzione non poteva trattarsi, un po’ perche’ il frammento in questione non era mai stato acquisito illegittimamente e un po’ perche’ legalmente il possesso dell’oggetto continua ad essere della Regione Siciliana. L’intenzione pero’ e’ sempre stata quella di alienare il frammento definitivamente, ed a tal fine le interlocuzioni con il Ministero per i Beni culturali e con l’avvocatura dello Stato erano gia’ state avviate.
La bozza di decreto approvata dalla giunta la settimana scorsa vuole mettere l’ultimo tassello. Il problema di fondo e’ che gli oggetti che fanno parte di raccolte archeologiche sono parte del patrimonio indisponibile dello Stato, ovvero del demanio culturale, ai sensi dell’art. 822 del Codice Civile. In Sicilia, per via del nostro Statuto (artt. 32 e 33), questo vuol dire che il “frammento Fagan” e’ parte del demanio regionale, ed in quanto tale inalienabile. Una volta tanto la legge e’ chiara come le acque dell’Alcantara: se un bene fa parte del demanio non te ne puoi disfare, non puoi insomma darlo alla Grecia. Un brutto grattacapo per il duo Samona’ & Greco. Ed è qui che interviene il nostro decreto: una volta decretata la sdemanializzazione del frammento, questo transita nel patrimonio regionale e diventa disponibile, pertanto lo possiamo dare a chi vogliamo.
Il problema di questa lettura e’ che, come stabilito piu’ volte della Suprema Corte, la sclassificazione di un bene (ovvero la cessazione della sua natura di bene demaniale) e’ un atto di natura dichiarativa: l’amministrazione riconosce l’avvenuta perdita delle qualita’ che rendevano un bene di fatto parte del demanio e si limita a dichiararla ufficialmente in Gazzetta. Il processo non prevede alcuna decisione; tutto dipende dall’oggetto in se’. Puo’ essere una trazzera che non serve piu’ a far transitare gli armenti, il letto di un torrente che e’ stato deviato, il terreno di una base militare dismessa. Siccome cessa il presupposto che ne aveva costituito la natura demaniale, il bene puo’ essere riconosciuto formalmente come non piu’ tale. Ora come puo’ il governo regionale, e tantopiu’ l’assessore ai beni culturali, asserire che l‘interesse storico che costituiva il presupposto per l’appartenenza al demanio della lastra Fagan non sussiste più? Come puo’ il direttore del Salinas soffrire che si tratti un frammento di un’ opera prodotta da uno dei più celebrati artisti della Grecia Classica alla stregua di un qualunque pezzo di marmo fatto l’altro ieri?
Ed e’ qui che il decreto fa un salto logico che ha del paradossale: l’interesse alla restituzione supera -secondo loro- l’interesse al mantenimento della proprieta’ regionale! Il tutto giustificato con la foglia di fico della convenzione Unesco del 1970 sul rimpatrio degli oggetti trafugati, che ovviamente non puo’ applicarsi qui dal momento che non esiste prova dell’illegittima acquisizione del frammento da parte di Fagan per un verso, e che la convenzione non e’ retroattiva per un altro. Di che interesse stiamo parlando allora? L’interesse del governo regionale a lanciarsi in una massiccia operazione autopromozionale che, in combutta con il governo nazionale, faccia fare bella figura agli interessati sulla scena mondiale. I greci sono ovviamente in visibilio, e mentre osannano la Sicilia quale capofila e laboratorio, dall’altro affilano i coltelli per lennesimo incontro-scontro con gli inglesi del British Museum per ottenere il piatto grosso: l’altra meta’ delle sculture partenoniche che da duecento anni delizia gli occhi di milioni di visitatori ed ispira l’arte dell’occidente dal suo podio londinese. Tutta questa confusione per fare da miccia insomma, un ruolo da gregari in una guerra non nostra. E questo sarebbe il superiore interesse che prevarrebbe sul mantenimento di un pezzo del nostro patrimonio culturale! Ricordo tra l’altro che uno dei pilastri della nostra legislazione di tutela, ovvero la legge 1089/1939 all’art. 24, disponeva chiaramente che il ministero (o in questo caso la Regione) potesse disporre l’alienazione di un bene culturale solo “purche’ non ne derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento”. Il godimento dell’oggetto al museo Salinas andra’ a farsi benedire, ma a quanto pare i Siciliani ed i turisti in Sicilia non sono il pubblico che interessa al nostro assessorato.
Da archeologo, io non posso che vedere di buon occhio la progressiva ricomposizione di un’opera d’arte dell’antichita’. Pero’, come in tutto, est modus in rebus. L’unita’ dell’opera d’arte non e’ un valore assoluto, bensi’ compete con altri valori quali la fruizione, la divulgazione, la condivisione e molti altri, in una tensione costante nella quale fare la scelta giusta non e’ sempre facile. Cio’ che guida la decisione e’ l’interesse pubblico. E’ preoccupante che i nostri attuali governanti ritengano che il nostro interesse ad approfondire la tematica del rapporto con l’antichita’ classica nella Sicilia della Restaurazione, ovvero a capire cosa quel frammento di Partenone ci dice di noi stessi, sia minore rispetto ad un incremento dello 0.06% nella completezza del fregio ad Atene, al fornire munizioni ai greci per una battaglia di chiaro carattere ideologico e nazionalista, e soprattutto a quattro copertine di giornale per il duo Samona’ & Greco.
di Mario Trabucco della Torretta