Leggo sulla Repubblica di oggi articoli sulle disastrate condizione delle strade e autostrade siciliane, sul Sud dimenticato che spera sul Recovery Plan. Si potrebbe dire: finalmente! Finalmente anche un quotidiano come Repubblica, tipico esemplare dell’ortodossia giornalistico-culturale dominante, si dà conto dello stato delle cose in Sicilia. I “mille chilometri di strade che non portano da nessuna parte”, le promesse dei diversi governi e dei tanti ministri e sottosegretari, i cantieri fermi, la burocrazia. Finalmente! Si, ma c’è qualcosa che non va. Dietro questo atteggiamento di denuncia gli articoli sembrano suggerire un altro “finalmente”. Finalmente c’è Draghi e tutti i ritardi, le inefficienze, le dimenticanze potranno trovare soluzione. Con il nuovo piano nazionale di ripresa e resilienza tutto sarà sistemato. Con il nuovo piano, perché il vecchio, quello proposto dal governo Conte bis, non andava bene. Le risorse erano distribuite in maniera non equa. Al sud non veniva attribuito quel 70% che la stessa UE indicava. Figuriamoci alla Sicilia. Però adesso tutto cambia e il nostro presidente Musumeci è pronto a chiedere addirittura il completamento dell’anello autostradale siciliano e, come al solito, il ponte sullo stretto.
Francamente sono piuttosto scettico sulla possibilità che il governo italiano dirotti gli investimenti del recovery plan verso la Sicilia, in misura adeguata alle enormi reali necessità. Lo ero quando il governo era guidato da Conte e la maggioranza era a trazione M5S e Pd. A maggior ragione lo scetticismo è d’obbligo se il capo del Governo si chiama Mario Draghi e la maggioranza che lo sostiene, così ampia e variegata, oltre ai citati M5S e Pd è contempla la Lega Nord e Forza Italia, che hanno dimostrato nel passato prossimo e remoto di volere garantire prima di tutto gli interessi economici del centro nord.
Ma, allentando il freno dello scetticismo, supponiamo che Draghi e il suo governo ci sorprenda riservando alla Sicilia una cospicua quantità di investimenti e che Musumeci ci stupisca ancora di più pretendendo un piano per le infrastrutture siciliane ampio, articolato e soddisfacente, oltre a investimenti altrettanto cospicui per la scuola, la sanità, le infrastrutture immateriali come la banda ultralarga,
Certo sarebbe una meravigliosa svolta che ci vedrebbe felici e pronti a magnificarla.
Però, in ogni caso, non basterebbe. Sarebbe un importante contributo alla rinascita della Sicilia, che mai ci sogneremmo di snobbare, ma sarebbe un sostegno “una tantum” che non darebbe soluzione alla madre di tutte le questioni: la questione finanziaria siciliana: l’applicazione dello Statuto speciale di autonomia e principalmente degli articoli che regolano i rapporti finanziari tra la Sicilia e lo Stato italiano. E’ lì che si annida il problema ed è lì che si trova la soluzione: dare alla Sicilia la piena sovranità sulle proprie risorse economiche, secondo quanto sancito da una norma di rango costituzionale.
Dal nostro punto di vista le somme per gli investimenti che saranno previsti per la Sicilia dal recovery plan, qualunque sia il loro ammontare, rappresenteranno un risarcimento o, se preferite usare un termine di attualità, un ristoro parziale rispetto a quanto avremmo dovuto ricevere in base all’accordo patti del 1946, ed in ogni caso non chiudono la battaglia per la risoluzione definitiva della questione finanziaria siciliana.
di Armando Melodia