di Armando Melodia
Oggi i giovani di mezzo mondo manifestano per sensibilizzare i governi affinchè adottino politiche che affrontino in modo deciso i problemi legati al riscaldamento globale, ai cambiamenti climatici, alla salvaguardia del pianeta che ci ospita.
Questo vento di protesta, che pare stia crescendo e dilagando in tutti i paesi, è partito dall’azione di una ragazzina sedicenne svedese, Greta Thunberg, e dal clamore che intorno ad essa è stato suscitato dai tutti i media, dai social alle televisioni, dai giornali alle radio.
Questo clamore, questa spettacolarizzazione può indurre a qualche motivata diffidenza e a porsi domande insidiose: si tratta davvero di una diffusa presa di coscienza della gravità della situazione o siamo di fronte al tentativo di incanalare la “contestazione giovanile”, di arginarla, di guidarla verso obbiettivi tanto eclatanti, quanto illusori come il conferimento del premio nobel per la pace ad una sedicenne seppure degna di ogni onore?
Voglio essere assolutamente chiaro per non evitare fraintendimenti: la questione ecologica è una questione di importanza vitale per l’umanità. Dico vitale nel senso letterale del termine. Se i governi e i cittadini dei paese che più incidono sull’equilibrio ambientale della Terra non affrontano da subito con decisione, determinazione e costanza il nodo del rapporto tra produzione, benessere materiale ed ecologia, l’umanità intera rischia di non sopravvivere a se stessa.
Quindi ben vengano tutte quelle azioni che possono far crescere la consapevolezza nei cittadini e nei politici chiamati a givernarci. Siano benedetti Greta, Alice e tutti i giovani, gli adolescenti che si stanno mobilitando e che stanno mettendo noi adulti di fronte alle nostre gravissime responsabilità.
Ma proprio per questo dobbiamo evitare che questi ragazzi vengano indotti a sentirsi appagati nelle loro sacrosante aspettative da un protagonismo fine a se stesso, da una illusoria vittoria legata al riconoscimento virtuale delle loro ragioni. Quando invece occorre agire nel profondo non solo delle nostre coscienze ma soprattutto dei nostri comportamenti economici e sociali, e nelle leggi che regolano i rapporti tra individui e società, tra comunità e stato, tra singolo stato e comunità internazionale.
Dobbiamo essere consapevoli che fino a quando continueremo ad essere consumatori anziché fruitori dei beni, finchè catalogheremo i nostri amici, i vicini di casa, coloro che incontriamo per strada in funzione di ciò che indossano o di quanto recente e performante sia lo smartphone che usano, o l’auto che guidano, non potremo sperare di invertire la tendenda al consumo del pianeta.
Analogamente se la ricchezza di un Paese continuerà ad esse misurata con il PIL e non con il benessere dei suoi abitanti, se nel compiere scelte politiche faremo ancora prevalere l’economia sulla biologia, se sarà ancora più importante fare crescere la “produzione” anche a scapito della “riproduzione”, della salute, della vita, non servirà a nulla trasmettere in mondovisione le manifestazioni dei giovani, intervistare una bambina di 9 anni o una ragazza di 16 e dare loro premi e medaglie al valor planetario, perchè anche quello allora sarà ancora una volta e soltanto “businnes”.