Di Stefano Cannioto
Nel ringraziare tutti coloro che hanno commentato il mio articolo sui termovalorizzatori,
mi corre l’obbligo di esprimere alcune precisazioni e rispondere a chi – sempre e
comunque in modo benevolo – ha espresso delle perplessità su quanto da me scritto.
Comincio con l’affermazione che ottenere energia dai rifiuti è possibile anche senza termovalorizzatori, ma non era questo l’argomento del mio articolo. Non posso escludere, anzi lo reputo altamente auspicabile, che parte del sistema di riciclo o riutilizzo dei rifiuti debba comprendere impianti in grado di produrre energia. Penso ad esempio ai rifiuti dalle lavorazioni agricole o dagli oli usati. Ma questi non sono impianti che bruciano rifiuti in modo indifferenziato.
Inoltre io non ho mai pensato, ne reputo serio immaginare, che l’ipotesi di intraprendere una strada che porti a drastica riduzione dei rifiuti possa essere una soluzione a breve termine. Credo altresì che sia chiaro a tutti che anche i termovalorizzatori ancora da realizzare non possono essere risolutivi in tal senso.
Il problema dei rifiuti sino ad oggi prodotti non si risolve con le politiche future.
Dei termovalorizzatori “indispensabili” (due dei quali in Sicilia) si è ri-cominciato a parlare circa 3 anni or sono (presidente Matteo 1), per un decreto (s)blocca Italia che vide la luce a metà 2016. Oggi Matteo 2 ne parla perché, tra corsi, ricorsi e sospensioni varie, abbiamo un costo incerto già a carico della comunità ed un certissimo risultato pari a zero passi avanti.
Poco tempo fa, in occasione della campagna elettorale di Palermo, avevamo proposto la realizzazione di centri di compostaggio di quartiere, da mettere a disposizione per concimare verde pubblico e orti urbani. Ritengo che in tre anni, con un investimento molto minore da quello previsto per i termovalorizzatori, sarebbe stato possibile eliminare l’umido dai rifiuti e utilizzare il relativo compost con un costo di gestione facilmente sopportabile.
Per chiarire la natura di un impianto di termovalorizzazione, cito i dati di uno studio di RSE (società per azioni controllata dal Gestore dei Servizi Energetici) che riporta, per un impianto in grado di trattare poco più di 80 mila tonnellate annue di rifiuti, un investimento iniziale di 60 milioni di euro, per una vita dell’impianto di 20 anni ed un costo di esercizio annuo superiore ai 6 milioni di euro. La capacità produttiva di questo impianto è stimata a meno di 50 mila MWh, con un costo industriale quindi di 0.13 Euro per kWh. Risultato del conto economico: l’impianto ha bisogno di mettere a bilancio l’incasso di 7 milioni di euro l’anno per l’attività di smaltimento rifiuti. Cioè il conto economico di un termavalorizzatore prevede che oltre la metà delle sue entrate provenga dalla attività di smaltimento rifiuti.
Concludo confermando che la scelta di individuare una via che porta a ridurre drasticamente i rifiuti solidi urbani (i rifiuti industriali sono altra cosa, ancora più pericolosa da trattare) è STRATEGICAMENTE alternativa ai termovalorizzatori, in quanto implica una diversa visione del futuro, rispettoso della salute e dell’ambiente.
La comunità europea stessa, in documenti spesso nascosti e sicuramente poco considerati dai nostri governanti, indicano una via diversa, e individuano nella cosiddetta economia circolare una strada da percorrere per mettere in atto modelli di sviluppo diversi. Qui si potrebbe anche aprire un nuovo capitolo, ma, almeno momentaneamente, mi astengo dal dilungarmi per non andare fuori tema.