di Stefano Cannioto
Con le esternazioni sui termovalorizzatori del vice primo ministro Salvini, ancora una volta assistiamo ai tentativi dei politici del governo di Roma di imporre alla Sicilia, e non solo, scelte strategiche dirompenti ed in contrasto con gli interessi dei Siciliani.
Intanto proviamo a liberarci dalla truffa dei nomi. Un termovalorizzatore è un impianto che brucia rifiuti e ne ricava energia, cioè ricava energia adoperando un combustibile a bassissima resa che produce derivati dalla combustione (che comunemente potremmo anche denominare cenere) ad altissimo rischio per l’ambiente e la salute. Diciamo che potremmo anche ridefinire il termovalorizzatore un “inceneritore adoperato per mansioni improprie”.
Fermo restando che sulla resa del combustibile non è possibile agire (sempre di munnizza si tratta), il ragionamento si fa più articolato sulla immissione nell’ambiente dei residui della combustione.
Se proviamo ad analizzare la questione troviamo due enormi e irrisolvibili problemi (non dico irrisolti, sottolineo irrisolvibili). Il primo riguarda i limiti della tecnologia. Allo stato attuale (e mi risulta difficile pensare il contrario) l’emissione in aria viene ridotta con l’inserimento di filtri chimici e/o meccanici che assorbono (non completamente) le sostanze potenzialmente nocive. Nei fatti questo significa spostare il problema dalla emissione in aria, allo smaltimento dei filtri in quanto rifiuti nocivi che comunque, prima o poi, direttamente o indirettamente, da qualche parte vanno ad inquinare.
La seconda questione riguarda il controllo. Detto dello smaltimento il cui controllo in generale è palesemente un affare a cui la delinquenza, più o meno organizzata, mostra evidenti e palesi interessi, ne rimane comunque uno che riguarda la mancanza di capacità della nostra pubblica amministrazione (in senso lato, facendo equa suddivisione tra impreparazione, mancanza di mezzi, o complicità con le mafie dei rifiuti) di controllare se i sistemi di abbattimento fumi sono efficaci. La cronaca di questi giorni ci dice che trovare l’amministrazione compiacente che decide di spostare i limiti di ammissibilità nelle emissioni è cosa che dobbiamo mettere in conto. Ogni riferimento alla modifica delle normative sullo sversamento dei fanghi è lasciato alla libera fantasia del lettore.
E sino a qui abbiamo solo accennato ai rischi dell’utilizzo dei termovalorizzatori, motivi già validi per dismettere quelli in uso. Ma proviamo ad andare oltre nelle nostre valutazioni, e ragioniamo sui motivi ulteriori che dovrebbero ancora maggiormente bloccare la nascita dei nuovi.
Da tempo andiamo sostenendo della necessità di modificare i nostri modelli di sviluppo, rendendoli più consoni alla realtà Siciliana, che si basa principalmente su aziende di piccole e medie dimensioni. La proposta di inserire elementi di economia circolare e indirizzare il ciclo dei rifiuti verso la loro completa eliminazione (o almeno la drastica riduzione), continua a sembrarci l’unica vera strada da percorrere. E’ ormai noto e dimostrato da dati oggettivi, oltre che dal buon senso, che un “packaging” limitato e sostenibile è un enorme risparmio di energia e di costo per il consumatore finale. Se consideriamo che i rifiuti che non provengono dalla fase dell’imballaggio (principalmente organici o da lavorazioni), sono quelli meno adatti alla combustione o, peggio, sono i più tossici, se ne ricava che la scelta dei termovalorizzatori è alternativa a qualunque tipo di azione tendente a ridurre la quantità di rifiuti.
Oltre che dal punto di vista psicologico (ho il modo di smaltire i rifiuti, perché mi devo sforzare di ridurli?), nascerebbe un evidente necessità di natura economica: per recuperare l’investimento iniziale sono costretto a tenere l’impianto in funzione per il maggior tempo possibile, a costo di importare il combustibile. E qui potrebbe nascere il grande paradosso. Non essendo sufficiente la quantità di rifiuti prodotti nel mio territorio dovrei importarli dai territori limitrofi, che però, per scelta centralizzata, sono stati distribuiti dappertutto, rendendo equamente infruttuoso per tutti la scelta scellerata di partenza. Unica consolazione, ciascuno si inquinerebbe da solo, almeno eliminando l’aberrazione di “importare” rifiuti altrui.
Prima di concludere aggiungo una piccola analisi riguardo la quantità di energia che si andrebbe a produrre. Stabilito che i rifiuti sarebbero solamente quelli propri, e che quindi stiamo ragionando di impianti relativamente piccoli, è necessario fare mente locale sul fatto che la realizzazione di rifiuti – e chiariamo ancora una volta che rifiuti vuol dire sostanze di scarto che non hanno utilità diretta – richiede energia in quantità di gran lunga maggiore di quanta se ne può ricavare da una combustione dello stesso materiale.
E siccome – come diceva qualcuno – a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca, prendiamo anche in considerazione che gestire una gara di appalto per un termovalorizzatore ha valenza ben maggiore che operare in modo distribuito su tutto il territorio e modificare le abitudini delle aziende e dei cittadini.