Alla protesta delle associazioni studentesche per gli aumenti delle tasse universitarie, Micari offre risposte e soluzioni che ci saremmo aspettati da un contabile di bottega. Lo invitiamo a smettere i panni del ragioniere e a dare risposte confacenti al Rettore di uno dei principali atenei della Sicilia e dell’intero Sud Italia. Il tema degli aumenti delle tasse universitarie va letto alla luce degli indicatori socio-economici e dei dati statistici che dimostrano l’esistenza di una drammatica “questione meridionale” anche nell’ambito dell’istruzione universitaria. I recenti rapporti dello Svimez indicano che sempre più giovani, sia studenti che laureati, emigrano dalle regioni del Sud Italia andando ad arricchire il tessuto socio-economico del Centro-Nord. Tra le regioni più colpite da questo esodo spicca proprio la Sicilia, affiancata dalla Puglia. Per il Sud i danni economici provocati dall’emigrazione studentesca sono stimati in 3 miliardi di euro annui a causa dei mancati consumi pubblici e privati, a tutto vantaggio dell’economia centro-settentrionale. A ciò si aggiunga che il totale di spesa pubblica “persa” per formare laureati destinati ad emigrare al Centro-Nord ammonta a 1,8 miliardi di euro l’anno. Inoltre, secondo il “Rapporto sul Benessere equo e sostenibile” elaborato dall’Istat, in Sicilia oltre 38 giovani su 100 non lavorano né studiano (sono i cosiddetti “neet”) e Palermo è la città metropolitana con il dato più allarmante d’Italia (41,5%). Il quadro, già di per sé grave ed angosciante, è reso ancora più drammatico dal tasso di disoccupazione giovanile, che in Sicilia sfiora il 60%. Sono queste le condizioni che determinano il minor gettito per gli atenei e su cui bisogna intervenire. In un simile contesto, l’aumento delle tasse universitarie per le fasce sociali a medio reddito non farà altro che aggravare la situazione complessiva dell’ateneo palermitano.
A decine di migliaia di giovani siciliani è stata da tempo tolta la speranza di costruire un futuro dignitoso nella propria terra. Il compito delle università pubbliche del Sud dovrebbe essere quello di contribuire ad invertire le terribili tendenze in atto, agendo da stimolo per l’innovazione ed il progresso socio-economico, con azioni anticicliche. Quello che Micari non dice, adottando provvedimenti che assecondano le tristi dinamiche presenti, è che il sistema universitario italiano è congegnato in modo tale che le università del Sud debbano raschiare il fondo del barile pur di sopravvivere. Se non interverranno profondi cambiamenti nella distribuzione dei fondi pubblici, la prospettiva che ci attende è l’ulteriore ridimensionamento, per non dire la chiusura, delle università meridionali e in particolare di quelle siciliane. Micari, piuttosto che tentare di far quadrare i conti sulle spalle delle famiglie siciliane, si faccia portavoce – insieme ai rettori degli altri grandi atenei del Sud Italia – di una giusta battaglia: richieda al governo italiano, come suggerito di recente dalla “Rivista economica del Mezzogiorno” pubblicata dallo Svimez, l’istituzione di un fondo di riserva per gli atenei del Sud e maggiori risorse pubbliche, in modo da sanare i fortissimi squilibri esistenti tra università di Serie A, tutte al Centro-Nord, e università di Serie B, ovviamente tutte concentrate al Sud.