di Massimo Costa
Noi l’abbiamo detto sempre, l’abbiamo saputo sempre. La differenza tra Cosa Nostra e le altre organizzazioni criminali (come quelle del Sud, tipo Ndrangheta etc.) è la stessa che c’è tra corsari e pirati. I primi, oltre che per sé, lavorano per uno stato. Cosa Nostra, sin dalla sua nascita ufficiale (1860, sbarco di Garibaldi) è stata uno strumento dello Stato italiano per tenere sottomessa la Sicilia. Certo, Garibaldi trovò queste consorterie proto-mafiose, non le creò certo lui. E dobbiamo all’ottusità borbonica e al caos del regime poliziesco duosiciliano, l’incapacità di sostituire l’ordine feudale con quello di uno stato moderno. i Borbone impedirono la nascita di uno Stato siciliano moderno, e – nel caos – nacquero quelle consorterie che poi dovevano diventare la mafia.
Però il salto politico, il vero battesimo, è stato con lo sbarco delle “Camicie Rosse”. Lì, e solo lì, la mafia diventa un’istituzione riconoscibile e – pochi anni dopo – dal 1876, con l’avvento della “sinistra” al potere, la mafia entra nelle istituzioni dalla porta principale. Da quel momento stato italiano e mafia sono due facce della stessa medaglia, nonostante si reciti la sceneggiata ipocrita dello Stato che lotta una “organizzazione criminale SICILIANA”. Da allora la mafia è stata appiccicata alla pelle dei Siciliani come marchio d’infamia, come pretesto per spossessarli di ogni diritto politico ed economico e trattarli da sudditi. Anche durante la parentesi fascista, che non poteva tollerare questa intermediazione, più che di una lotta alla mafia si può parlare di un suo tentativo di superamento inquadrandola stabilmente nel PNF e nella Milizia.
Con gli americani, però, il tentativo è interrotto. Cosa Nostra ritorna alla grande a fare il “lavoro sporco” per conto dello Stato, di cui è rimasta sempre alle dipendenze. A cominciare da Portella della Ginestra. Se, però, nel primo Dopoguerra era ai margini, una volta sedato l’ultimo autonomismo (1960) con i governi di Centro-Sinistra la mafia praticamente siede a Palazzo d’Orléans, è il suo trionfo assoluto, ma sempre per conto dello Stato.
Chi tenta timidamente di scuoterne il giogo, come Mattarella, viene semplicemente fatto fuori (1980).
La mafia è lo stato, e lo stato è mafioso. Il mio è un giudizio storico prima ancora che penale. Ai vertici naturalmente, mentre alla base lo Stato, disponeva di poliziotti, giudici, funzionari, che pagavano la loro fedeltà a uno stato infedele con la vita.
A un certo punto questo rapporto entra in crisi. Nell’era della globalizzazione lo Stato non ha più bisogno della mafia per tenere in catene la Sicilia e deve progressivamente sbarazzarsi di tutti i testimoni scomodi di questo accordo.
Da un certo punto in poi, la Sicilia non si saccheggia più per mezzo della mafia, ma con l’aiuto di una nuova mafia, in colletto bianco, la mafia dell'”antimafia”.
Se Falcone è l’ultimo omicidio eccellente di mafia, ordinato però dall’esterno come tutti gli altri “eccellenti”, Mattarella, La Torre e Dalla Chiesa inclusi, con Borsellino non c’è più tempo da perdere.
Borsellino sapeva. Sapeva da chi e perché era stato ucciso Falcone. E a breve avrebbe parlato. Non c’era tempo di commissionare alla solita mafia il solito omicidio eccellente per allontanare i sospetti dai veri mandanti.
Nella premura si organizza un attentato direttamente. Vero terrorismo di stato. E poi, per cancellare le tracce, si depista, si depista, si depista.
Da allora il rapporto tra Stato e Cosa nostra si va allentando, si logora, e forse ora non c’è più. La Sicilia da sé emargina Cosa Nostra, in crisi ormai irreversibile.
Ma resta la bugia storica. La mistificazione di una “Sicilia mafiosa” da un lato, e di uno “Stato sceriffo buono” dall’altro. Questa “verità” storica è falsa. Ed è ora di dire le cose come stanno.
La mafia non è mai stata cosa “nostra”.
E ora si riscrivano i libri di storia, e si dica la verità: per un secolo e mezzo l’Italia ha tenuto in catene la Sicilia per mezzo di un’organizzazione criminale chiamata “Cosa Nostra”, facendo ricadere la responsabilità della sua presenza sulla vittima stessa, per criminalizzarla e depredarla meglio.
Questa è la verità, non le balle che si raccontano ai ragazzi sulle “navi della legalità” e nelle “carovane antimafia”.