(di Ciro Lomonte)
Ho ascoltato in questi giorni i lavoratori dell’Opera Pia “Ernesto Ruffini”, cui è pervenuta una incomprensibile lettera di licenziamento che, letteralmente, li butta per strada dalla sera alla mattina. Mi sono consultato con gli organi del Movimento che ho l’onore di rappresentare e con alcuni esperti di diritto e di economia. E devo dire che questa vicenda non è solo una vicenda che mi rattrista come cittadino, ma che – come cattolico – mi addolora in modo particolare per ragioni che vorrei esprimere con moderazione, senza mescolare il piano politico con quello personale.
Dal punto di vista politico, e soprattutto giuridico, il licenziamento in parola è un atto nullo. L’Opera Pia non è un’associazione “no profit” che – quando va male – chiude i battenti punto e basta, magari restituendo il patrimonio agli associati. In verità anche nel settore privato, quando un’associazione viene dichiarata Onlus, può sì chiudere i battenti e licenziare tutti, ma in ogni caso il patrimonio residuo dalla liquidazione non può essere trattenuto bensì destinato a finalità sociali.
Qui, addirittura, non siamo neanche in presenza di una persona giuridica privata, ma di un vero e proprio ente pubblico, soggetto al diritto amministrativo e non al diritto privato. L’Opera Pia non è una “fondazione”. Non posso credere che l’arcivescovo sia circondato da persone talmente incompetenti da non farglielo sapere.
Quando una IPAB non ha più condizioni economiche di sostenibilità (su questo bisognerebbe indagare, peraltro) la normativa, in particolare quella regionale, dispone l’assorbimento della stessa, con funzioni, patrimonio e “personale”, agli enti locali, e in particolare ai comuni di riferimento.
Per fare questo non c’è bisogno di una nuova legge. Le leggi ci sono già, ma non vengono attuate. Negli anni, ad esempio, il Comune di Palermo, ha assorbito diverse “IPAB”, spesso antiche “opere pie” secolari, che persino l’Unità d’Italia aveva risparmiato dal suo furore distruggitore (sia pure sottomettendole allo Stato e trasformandole, appunto, in enti pubblici). Tra queste, a solo titolo d’esempio, il “Collegio San Rocco”, la cui sede oggi è occupata da “Scienze Politiche”. Non ci risulta che, in questi anni, in tutti questi casi, gli enti siano sopravvissuti tenendosi stretto il patrimonio e licenziando i dipendenti; cosa particolarmente odiosa vista la finalità etica di queste istituzioni.
In una città agli ultimi posti dello Stato per qualità dei servizi pubblici intanto si interrompono servizi di assistenza di cui, da oggi, non si occuperà più nessuno: centro per portatori di handicap adulti, asilo nido, villaggio ospitalità agli anziani e tanto altro.
Oltre a ciò si “licenziano” dipendenti pubblici che per legge potrebbero solo essere messi in mobilità in altri enti pubblici (Comuni). Ma non solo. Questi dipendenti già non ricevono lo stipendio da circa un anno e mezzo, sono disperati, e, per salvarli, come un bieco impresario qualunque, l’ente proponeva clausole vessatorie sull’abbonamento di mensilità arretrate, sui contratti individuali, orari e retribuzioni. Che nel privato, dove non c’è né interesse pubblico, né pubblica sovvenzione, ci possa essere la tirannia della convenienza e dell’interesse privato, a denti stretti possiamo anche sopportarlo. Che una istituzione che si dice “pubblica” segua unicamente calcoli di convenienza economica, e – lo ricordiamo – di derivazione ecclesiastica, semplicemente ci sconvolge.
La decisione di licenziare i dipendenti, oltre che illegittima, è anche antieconomica.
L’Ente, infatti, ha un patrimonio immobiliare di milioni di euro, sufficiente a mantenere gli attuali 42 dipendenti per lo meno da oggi alla pensione. Il Comune, quando l’ente fosse sciolto e affidato a questo, potrebbe mettere a profitto questo patrimonio (ammesso e non concesso che l’attività di assistenza sia talmente antieconomica da non potere essere proseguita) in modo da assorbire questa manodopera a costo zero. Del resto il Comune ha ogni anno un certo numero di pensionamenti. Se la spesa aggiuntiva per mantenere questo organico extra, per qualche anno appena, viene considerata una spesa straordinaria, e quindi in conto capitale, questa potrebbe benissimo essere coperta anche soltanto da qualche entrata in conto capitale data dalla vendita di qualche unità patrimoniale superflua.
La scelta, quindi, appare anche antieconomica dal punto di vista dell’interesse pubblico.
A meno che non pensiamo che gli attuali organi di Governo credono di essere i “proprietari” del patrimonio dell’ente e vogliono dare a questo patrimonio il massimo frutto disfacendosi del personale, come farebbe una qualsiasi multinazionale.
L’arcivescovado – ricordiamo – ha il controllo gestionale di questo ente, per Statuto, ma questo, e il suo patrimonio, non è di sua proprietà. È pubblico. Non possono, anche per ragioni morali, ragionare in questo modo.
Che fare dunque? La via giudiziaria è meritoria, ma lunga. Noi “Siciliani Liberi” abbiamo un’idea. In questi giorni alcuni deputati regionali, come Marianna Caronia, Vincenzo Figuccia, e non solo, hanno lamentato giustamente come assurda la “procedura d’urgenza” per riformare la legge elettorale.
Ecco una vera urgenza! Presentiamo una legge di uno o due articoli che consenta alla Regione, quando una IPAB compie atti illegittimi per un ente pubblico, di surrogarsi ad essa nominando un “Commissario ad acta” che revochi, per conto dell’ente, il provvedimento illegittimo. Più urgente di così. La legge è a costo zero, perché si tratta solo di revocare un provvedimento amministrativo illegittimo (in questo caso il licenziamento, ma la legge avrà portata generale) e non di istituire nuova spesa pubblica.
Siamo certi che il nostro appello all’ARS non cadrà nel vuoto.
E fin qui ho parlato da Segretario di “Siciliani Liberi”.
Sul piano personale voglio aggiungere una nota da credente. Per la mia storia nessuno può accusarmi di sterile anticlericalismo. Ma devo dire, in tutta onestà, da cattolico che trovo devastante l’atteggiamento dell’arcivescovado sulla vicenda di questi dipendenti. Ma come si fa a fare appelli per combattere la povertà a Palermo, a dichiararsi testimoni di una nuova Chiesa “povera” e poi fare ragionamenti di questo tipo? Una “Chiesa” che preferisce tenersi stretto il patrimonio, sottraendolo al legittimo destino di incorporazione al Comune, mandando per strada 42 dipendenti con le loro famiglie mi addolora, mi rattrista. Poi come critichiamo le imprese multinazionali che non hanno “responsabilità sociale d’impresa”? Non aggiungo altro.