La Sicilia si avvia ad avere le sue ZES, a Palermo e Catania almeno. Il porto franco per eccellenza e per storia, Messina, ne resta tagliato fuori.
“Siciliani Liberi” rivendica a buon diritto la paternità di questa battaglia, che ora è cavalcata dal governo italiano, ma queste ZES, in aree portuali e aeroportuali ben definite, sono ancora lontanissime da ciò che serve alla Sicilia. E questo sia perché si tratta di aree troppo limitate, dalle quali beneficeranno quasi esclusivamente gli investitori esterni e pochissimo i Siciliani, sia perché si tratta solo di concedere modesti crediti di imposta e facilitazioni amministrative per chi fa investimenti al di sopra di una certa soglia e li mantiene per qualche anno. Troppo poco per una Sicilia che boccheggia. Certo, ci sarà una piccola, flebile, inversione di tendenza, qualche posto di lavoro in più, che ben venga, ma nulla che spezzi realmente le catene coloniali.
Il movimento indipendentista considera quindi del tutto attuale la propria petizione per la costituzione dell’intero territorio dell’Isola e del suo Arcipelago, in una grande ZES, dotata di uno status finanziario, fiscale, amministrativo, doganale e monetario speciale. L’unico che possa far decollare la nostra economia e ridare alla Sicilia il ruolo che le compete tra i paesi liberi e prosperi.