Lasciamo questa “commemorazione” agli unitaristi ossessionati.
La lasciamo volentieri agli “autonomisti” più o meno intruppati negli schieramenti italiani di “centro-destra” e “centro-sinistra”.
E le ragioni non mancano.
La Sicilia è al collasso. il 70 % di disoccupazione giovanile e le 12 ore per andare in treno da Palermo a Trapani rappresentano il fallimento ormai definitivo di ogni forma di appartenenza della Sicilia all’Italia. Basta, non ne parliamo più.
Per anni abbiamo chiesto l’attuazione dello Statuto e – chissà – come tappa intermedia, verso l’indipendenza, qualche articolo potrebbe ancora esserci utile.
Ma non si celebra un fantasma o un cadavere. Lo Statuto è morto, nel 1956, con la soppressione dell’Alta Corte. L’Autonomia si è persa poi piano piano per strada. Il fallimento della Sicilia non è solo materiale, ma soprattutto morale, con gran parte della sua classe dirigente, anche tra i giuristi, che si parlano addosso come parrucconi per “riformare” un’autonomia che non c’è più.
La Sicilia è una colonia, solo un cieco non se ne accorgerebbe.
E il 15 maggio non c’è proprio nulla da festeggiare. Diciamo che è un giorno di lutto.
La nostra festa resta il 31 marzo, Anniversario del Vespro.
E la “Festa dell’Indipendenza”.
Quando? Dirà il lettore.
Non lo sappiamo. C’è un giorno del calendario che ancora non conosciamo e che, fra qualche anno, celebreremo come il giorno della nostra ritrovata libertà.
Quanto agli “autonomisti” che domani festeggiano… pace all’anima loro. Sono morti, che cercano invano di resuscitare strappando qua e là pezzi del nostro programma. Ma non lo potranno fare, perché i Siciliani distingueranno facilmente l’originale dalle imitazioni, più o meno targate MPA.