La risposta indipendentista alla corruzione

I fatti di cronaca di questi giorni sono impietosi. 

L’ex PD – FI Genovese coinvolto in un giro di false fatturazioni, con beni sequestrati per un milione. Un altro pentito, con accuse gravissime, tira in ballo il candidato sindaco di Palermo Ferrandelli, per voto di scambio addirittura in contiguità con la mafia.

Abbiamo detto e ripetiamo che non si fa sciacallaggio in questi casi. C’è chi parla di “giustizia a orologeria” per favorire altri candidati, e l’accusato respinge ogni accusa. Vedremo. Noi, fino a prova contraria, restiamo garantisti, naturalmente non insensibili a indizi di colpevolezza che si dovessero fare via via più gravi. Ma, il fatto di cronaca giudiziaria, ci interessa sino a un certo punto.

Il problema politico è più generale. Qual è l’atteggiamento degli indipendentisti siciliani di fronte al problema della corruzione?

 

Sappiamo bene – e lo abbiamo detto – che la “mafia-corruzione-sprechi-privilegi” non sono il primo vero problema della Sicilia, anzi che si tratta di una vera e propria distrazione di massa.

E ne siamo convinti guardando ai numeri e alla stessa cronaca giudiziaria, che non danno alla Sicilia alcun primato negativo in tal senso rispetto all’Italia, a Milano, a Roma, dove i numeri della corruzione sono ben diversi e maggiori. Ne siamo convinti, perché conosciamo sin troppo bene le strategie comunicative delle élites, impegnate in questi anni a svuotare le istituzioni democratiche attraverso la copertura ideologica dei “politici che mangiano”. Ne siamo convinti, perché le risorse siciliane assorbite dalla corruzione sono solo una piccola frazione di quelle “donate” allo Stato italiano per semplice sudditanza coloniale. Se anche il rapporto fosse 1 a 10, sappiamo bene che è sul 10 che si gioca il nostro sviluppo, più che sull’1. Però…

Però questo ragionamento – ad esser franchi – non basta. Non può essere autoassolutorio. Una volta che abbiamo fatto piazza pulita degli ideologi antisiciliani ed antimeridionali in malafede, dei professionisti dell’antimafia, tra noi – siciliani onesti – il problema della corruzione e del malaffare ce lo dobbiamo porre. E lo dobbiamo risolvere prima ancora della conquista dell’indipendenza, con un metodo politico che ci renda davvero diversi dai rappresentanti dei partiti italiani. L’indipendenza politica può essere solo condizione necessaria, ma non sufficiente, per stroncare il malaffare, come dimostrato da tutti i regimi neocoloniali dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.

Cosa alimenta la corruzione? Quali ne sono le fonti che dobbiamo prosciugare?

Noi – senza pretesa di essere esaustivi – ne identifichiamo alcune.

La mancanza di tensione ideale nell’attività politica. Oggi tutti i politici siciliani appartenenti ai partiti italiani, o quasi tutti, hanno un obiettivo personale di potere. L’Italia non è in grado di veicolare più in Sicilia alcuna passione civica, e senza passione civica, la porta è aperta all’arraffo. Possiamo sperare che una classe politica patriottica sia almeno un po’ migliore? Noi crediamo di sì.

La subalternità ai comitati d’affari. Essere colonia di sfruttamento significa mettere tutto il nostro bene comune a servizio di ristrette consorterie di affaristi (più che imprenditori) pronte a succhiarci il sangue. Per far questo c’è bisogno della complicità degli ascari, e questa molto semplicemente si compra. Anche qui possiamo sperare che una classe politica autogena non debba la propria sopravvivenza a questi comitati e possa quindi ragionare finalmente in modo diverso.

La personalizzazione della politica e il notabilato elettorale. Quante volte sentiamo dire: io “ho” tot voti. I voti dati alla persona, sono per definizione clientelari (da clientes in latino, i devoti del patronus). E la persona, poi, crede di poter fare ciò che vuole con quei voti, ed è quindi più portata alla corruzione. Possiamo sperare che un voto “ideologico”, dato alle liste, alle idee, prima che alle persone che quelle idee incarnano, sia più impermeabile al malaffare? Anche qui crediamo di sì.

Un sistema di leggi e di controlli, ipocrita, farraginoso, inefficiente e in ultima analisi impossibile da gestire. Oggi in Sicilia abbiamo norme scrupolose che impediscono alle partecipate di dare compensi per consulenze o di avere bollette telefoniche al di sopra di un tot % della spesa del 2009 (per quanto tempo durerà questo assurdo limite? per sempre?), ma nessuno va a controllare l’inerenza delle spese rispetto al servizio pubblico. Non c’è un buon sistema di contabilità ambientale e sociale. L’intricato complesso tra norme europee, italiane e siciliane da un lato, e tra leggi, regolamenti, delibere di giunta, circolari e determine varie dall’altro, determina un folle “combinato disposto”, di cui si è persa qualunque ragion d’essere, e che fa camminare gli amministratori pubblici su un filo spinato di cui soltanto la magistratura detiene (senza rivelarla) la mappa, con la tentazione di trasformare i propri controlli in politica attiva e di parte. È follia sognare una drastica delegificazione in cui i controlli avvengano su basi qualitative, sostanziali, e sulle cose veramente importanti?

La parte ancora troppo ingente di politica che si riduce soltanto in distribuzione di fondi pubblici. Laddove c’è distribuzione di fondi pubblici, in condizioni di burocrazia e non di mercato, lì c’è per definizione, pericolo di mafia e corruzione. Anche se a distribuire e ad assegnare tali fondi o risorse ci fosse una meritoria associazione antimafia, che – senza accorgersene – finirebbe così per adottare esattamente le stesse logiche di appartenenza e mafiose che è nata per combattere. Possiamo sperare che un aumento degli spazi di un sano mercato rispetto ad un opprimente presenza della burocrazia restituisca a questo paese una maggiore meritocrazia, e quindi trasparenza e giustizia? Noi crediamo di sì. Noi crediamo che lo Stato (quello di Sicilia) abbia importantissimi compiti regolatori e di controllo, di svolgimento di funzioni pubbliche strategiche e di monopoli naturali, di perequazione dei redditi e di costruzione di infrastrutture, ma non quello di sostituirsi all’economia e alla società civile in ogni ambito, inquinando tutto con l’appartenenza politica.

E, infine, la disattenzione dei sistemi di formazione all’educazione alla cittadinanza. Noi Siciliani è vero che abbiamo un sistema rappresentativo tra i più antichi del mondo. Ma quel sistema era “di classe”, riservato all’aristocrazia e, al massimo, alle corporazioni artigiane delle città. Il resto del popolo era fatto da “vassalli feudali”. Questi, senza soluzione di continuità, sono passati, dopo il collasso dello Stato di Sicilia 200 anni fa, ad uno stato di polizia, poi ad uno stato censitario dal quale erano comunque esclusi, poi ancora di nuovo ad una dittatura, ed infine ad una falsa democrazia clientelare e assistenziale in cui il diritto di voto è stato scambiato per una sorta di omaggio feudale.

Noi dobbiamo investire ancora molto sul senso civico dei Siciliani, dobbiamo farne uscire ancora molti dallo stato mentale di “servi della gleba” che onorano il politico e il potente di turno, solo per avere come favore ciò che spetterebbe loro di diritto. Dobbiamo fare alzare la schiena ai troppi siciliani che la tengono ancora curva, e che sono i primi a disprezzare se stessi.

La vera differenza, quella sostanziale, tra gli indipendentisti, e i notabili dei partiti italiani, di tutti i partiti italiani, anche di quelli con il bollino antimafia, sta tutta lì. 

Ed è su questo che si gioca la possibilità di avere una Sicilia realmente diversa da quella degradata che oggi siamo costretti a guardare.

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