Il tanto declamato “Nuovo decreto attuativo” dei Rapporti finanziari tra Stato e Regione – a quanto pare – non esiste.
Quello che il Presidente della Repubblica si avvia a firmare, dopo anni e anni di lavoro della Commissione paritetica, altro non sarebbe che un emendamento “piccolo piccolo” (ma naturalmente castrante per la Sicilia) di quello vigente, il n. 1074 del 1965, che resta lì, tale e quale, “soltanto” mutilato di qualche entrata per la Regione, giusto quanto basta per dare seguito all’accordo scellerato del 20 giugno scorso tra Regione e Stato.
Ma di cosa parla il Presidente Crocetta che dice che abbiamo rinnovato i vecchi accordi del “1970” (sic; non sa nemmeno che sono del 1965)? Ma di cosa parlano tutti quelli che parlano di “Nuove Risorse” per la Regione?
E’ una colossale truffa, una colossale bufala, che andrà smontata naturalmente quando i Siciliani si riprenderanno le proprie istituzioni.
Proviamo a spiegarla nei suoi passi essenziali.
Oggi lo Stato dovrebbe rispettare questo lontano decreto del 1965. Non è perfetto. Infatti ha tolto alla Regione la sua fondamentale funzione di deliberare i propri tributi (lasciata scritta “per memoria” ma di fatto inibita). Questa fondamentale facoltà era stata impedita alla Regione in modo “provvisorio” e “parziale” nel precedente decreto del 1948. Poi, di fatto, la Regione aveva deliberato qua e là alcune norme tributarie di vantaggio che la Corte Costituzionale avrebbe provveduto a cassare tutte, nei primi degli anni ’60, una volta sbarazzatasi dell’Alta Corte che invece, sia pure tra molti limiti, in parte lasciava passare.
Così, privata della possibilità di poter deliberare in propri tributi in sostituzione di quelli erariali, come è nello spirito dello Statuto, le resta riconosciuta una impossibile facoltà di deliberarli in aggiunta a quelli erariali. E questo sarebbe già uno scandalo.
Però, almeno, nel 1965 si stabilì un compenso a questa gravissima “castrazione”, tutto sommato onorevole.
L’art. 2 dava alla Regione il gettito di TUTTI i tributi erariali riscossi in Sicilia, sia pure con tre eccezioni espressamente riservate allo Stato.
Il successivo art. 4 dava alla Regione anche il gettito dei tributi maturati in Sicilia ma riscossi altrove per esigenze amministrative.
Il successivo art. 7 dava alla Regione il gettito delle imposte sul reddito delle imprese che avevano sede fuori dall’isola, comprese le trattenute fiscali sui lavoratori delle stesse. Questo art. 7, che attuava l’art. 37 dello Statuto, nel tempo sarebbe rimasto lettera morta.
Ma anche i precedenti. Lo Stato, soprattutto, non rispetta l’art. 4, trattenendo tutti i tributi maturati in Sicilia e riscossi altrove.
E, a ben vedere, con mille trucchi amministrativi, non rispetta neanche l’art. 2. Tutti ricorderanno l’intervista su L’Espresso all’Assessore Baccei (e al nostro Presidente), in cui candidamente ammette che, solo a questo titolo, alla Sicilia vengono a mancare circa 7 miliardi di euro l’anno, cui si aggiunge circa 1,3 miliardi di prelievo illegale per il “contributo al risanamento della finanza pubblica erariale”, per una somma che, rapportata al PIL è il quadruplo di quella pagata da tutte le altre regioni.
Cosa cambia ora?
Tecnicamente ci si limita a fare un “piccolo emendamento” all’art. 2 e ad abolire un comma dell’art. 7 (che sarebbe assorbito da questa modifica). Tutto il resto resta in piedi (tanto mai è stato attuato e mai continuerà ad esserlo)
Cambia che gran parte del furto dell’Irpef perpetrato fino ad ora, adesso …. è legalizzato!
Naturalmente nel legalizzarlo, a quanto pare, un po’ dovrebbe essere restituito alla Regione, giusto quanto basta a fare chiudere i bilanci, altrimenti ormai impossibili a redigere. Per dirla in numeri, oggi lo Stato RUBA circa il 40 % di IRPEF e più del 50 % di IVA alla Regione ogni anno, senza alcuna copertura giuridica.
L’accordo, e quindi il trionfo della Regione, starebbe nel fatto che quel 40 % circa (di fatto) scenderebbe al 29 % (ma solo dal 2018). Nel 2017 il furto che dovrà sopportare la Regione sarà pari al 32,6 % e, per il 2016, addirittura il 43,9 % (più di ora).
Sugli altri tributi invece ci dovrebbero dare “per davvero” il 100 % (ma chi ci crede? se non hanno mai applicato l’art. 4 in 50 anni perché dovrebbero iniziare a farlo adesso?).
Tutto qua. Fine della storia.
In pratica l’unica vera modifica strutturale rispetto all’ordinamento previgente sarebbe che da ora in poi i 3/10 dell’Irpef circa saranno “regalati” allo Stato, senza che lo Stato ristori la Regione del mancato introito con alcuna altra entrata o facendosi carico di qualunque altra spesa. Un regalo netto di un po’ più di due miliardi l’anno allo Stato. Per sempre (almeno fino a che la Regione non pretenda la revisione di questo accordo).
Si potrebbe dire che, per lo meno, questo dovrebbe dare entrate “certe” alla Regione.
Anche questo è falso. L’attuale quadro, se l’Agenzia delle Entrate non operasse slealmente e illegalmente ai danni della Regione, darebbe già entrate certe alla Regione (la “totalità delle entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio” si può leggere). Con il nuovo quadro, invece, le “modalità attuative”, non sono più automatiche, ma sono affidate a un successivo “Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze”. In pratica saranno loro a decidere a quanto ammonta questo famoso “71 %” che da tributo devoluto è declassato a “compartecipazione”; compartecipazione che non è prevista affatto nello Statuto. Ma non importa, il nuovo art. 2, ipocritamente inizia con “Ai sensi del primo comma dell’art. 36…”.
Non è un’attuazione dello Statuto, ma la sua negazione.
Non ampia gli spazi finanziari della Regione, ma li riduce, forse, ma molto forse, restituendo una piccola parte dei furti strutturali dello Stato.
Affida le future risorse finanziarie alle determinazioni tutto sommato unilaterali della Ragioneria generale dello Stato.
Avrebbero potuto fare peggio, stravolgendo l’impianto del vecchio decreto attuativo. Non ne hanno avuto tempo, né lucidità; meglio così.
Quando arriveremo al potere alla Regione, questa intesa la stracceremmo e la butteremo nel cestino. Promesso.