Alla fine, incalzati dai fatti d’armi (la battaglia di Monte San Mauro), la Consulta precipitò i propri lavori, con una prevalenza schiacciante degli autonomisti/federalisti (cripto-indipendentisti) rispetto ai centralisti.
I fatti sono noti: dalla Commissione lo Statuto passò alla Consulta, da questa al Governo italiano che lo approvò e infine andò alla firma del Re, che da poco era Umberto II, non più Luogotenente per l’abdicazione di Vittorio Emanuele III.
Ai primi di gennaio si arrivò ad un armistizio con i Separatisti. Due fatti erano determinanti. In primo luogo l’indipendentismo con centinaia di carcerati, sedi devastate e svuotate dalla polizia o da folle prezzolate dalle questure, isolata dall’abbandono internazionale, dall’opportunismo della classe dirigente, che aveva fiutato il vento, non faceva più paura. Si era capito che era stato ridotto in minoranza nella società, magari una grossa minoranza, ma sempre una minoranza.
Poi, tutto sommato, dal punto di vista dei Separatisti, la conquista dello Statuto se non era l’indipendenza poco ci mancava. Ci si poteva adattare a fare i “federalisti”, in attesa di tempi migliori. Ottenevano lo Statuto, l’amnistia, la possibilità di riorganizzarsi politicamente e di presentarsi alle elezioni. Anche se il tempo era poco per riorganizzarsi era un compromesso accettabile. L’Evis veniva naturalmente sciolto. Era il Trattato di pace tra Italia e Sicilia che determinava la nascita dello Statuto.
Ma concentriamoci sulla parte finanziaria.
Il 15 maggio del 1946, in piena campagna elettorale per l’elezione dell’Assemblea Costituente e per il referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica, Umberto II promulga lo Statuto della Regione Siciliana, il cui coordinamento con la nuova Costituzione (che allora non si sapeva fosse repubblicana o monarchica) era rinviato all’Assemblea costituente.
La parte Economica-Finanziaria è contenuta quasi tutta nel Titolo V (Patrimonio e Finanze).
Indirettamente riguarda la finanza anche l’art. 20, che è fuori dal Titolo V, in quanto regola la Spesa. In breve l’art. 20 è fatto di due commi. Il 1° comma riguarda le funzioni proprie della Regione. Cioè quelle sulle quali gli art. 14, 15 e 17 garantivano una qualche autonomia legislativa. Queste funzioni, cioè quasi tutta la P.A. sono accollate alla Regione, che se ne prende il peso. E, fra queste, c’è anche tutto il comparto degli Enti locali. Il 2° comma, invece, riguarda le funzioni delegate dallo Stato (tutto il resto, tranne Esteri e Difesa). Anche queste funzioni sono svolte dal Presidente e dagli Assessori, ma qui non come Presidente vero e proprio, ma come “Luogotenente” del Governo centrale, cioè come Ministro dello Stato, quale in effetti è. Per queste seconde funzioni, essendo delegate, implicitamente il carico finanziario è in capo allo Stato.
Nel Titolo V, a parte alcune norme secondarie, il quadro è il seguente. In pratica quello di uno stato sovrano.
Gli artt. 32, 33 e 34 dispongono un passaggio immediato e di diritto di tutto il demanio e il patrimonio dello Stato, disponibile e indisponibile alla Regione. Sono fatte eccezioni per il demanio e il patrimonio militare, e per il demanio che riguarda non meglio precisati “servizi di interesse nazionale”. Queste eccezioni sarebbero dovute essere regolate da regolamenti attuativi dello Statuto.
L’art. 36, 1° comma, attribuisce, come era in tutti i progetti radicali, alla Regione la potestà tributaria principale nella Regione. La Regione “delibera i tributi”. Lo Stato non è menzionato affatto. E tutto spetta alla Regione, tranne quanto previsto dal 2° comma, che riserva alcune entrate allo Stato, per ripagarlo dei servizi che questo svolge per la Sicilia, direttamente, o delegando – come abbiamo visto – la Regione: imposte di produzione, lotto e lotterie, entrate da monopoli.
La scelta di dare alcuni tributi allo Stato (legislazione + gettito) era dettata da semplicità, per evitare continue controversie. Tutto il resto sarebbe stato di spettanza regionale (legislazione + gettito). A metà strada (legislazione dello Stato, gettito alla Regione) restavano implicitamente solo le entrate doganali, riservate alla potestà statale dal successivo art. 39, ma non incluse tra i cespiti di competenza statale dal 2° comma dell’art. 36.
A proposito di questo art. 39, esso è la versione depotenziata della “zona franca” invocata dal MAS. Solo alcune esenzioni doganali, per le importazioni di uso per l’agricoltura e per l’agro-industriale, e un generico obbligo di consultazione della Sicilia sulle questioni di interesse regionale.
Tanto la Sicilia era un ordinamento a sé che il successivo art. 37 ribadiva il principio di territorialità delle imposte, nell’ordinamento tributario di allora percepito solo per le società. Il reddito, questo in sostanza stabilisce l’art. 37, è sottoposto a tributo dove è prodotto, non dove ha sede la società. In maniera incidentale, il 2° comma dello stesso articolo, precisava che gli uffici finanziari erano regionalizzati in modo integrale, legislazione sugli accertamenti, riscossioni e versamenti inclusa.
Lo Stato dunque non dava nulla alla Sicilia. Quel poco che dava se lo ripagava con le entrate del 2° comma dell’art. 36. Per non rinunciare del tutto alla perequazione infrastrutturale, fu previsto un unico trasferimento dello Stato alla Regione: il Fondo di Solidarietà Nazionale (art. 38). Esso si sarebbe dovuto calcolare come il mancato gettito tributario alla Regione dovuto al fatto che il reddito pro capite (allora detto reddito dei lavoratori) era più basso di quello italiano. Un trasferimento in conto capitale provvisorio, dunque, in attesa che Sicilia e Italia potessero correre ad armi pari. Un trasferimento i cui criteri di determinazione erano abbastanza chiaramente definiti, soggetto a revisione quinquennale.
Chiudevano la parte economico-finanziaria, due articoli che riguardano la finanza: la possibilità di gestire prestiti interni, alla pari di uno stato sovrano (art. 41), e la gestione separata delle riserve valutarie (e quindi del reddito di signoraggio dell’emissione monetaria, art. 40). I due articoli, ben usati in modo congiunto, avrebbero potuto far partecipare la Regione all’emissione monetaria, seppure in Unione Monetaria con l’Italia.
Questo lo Statuto.
Esso però fu avviato solo un anno dopo, nel 1947. Perché? Perché per il suo avvio erano necessari i decreti attuativi.
Nell’intenzione del legislatore questi dovevano essere emanati una tantum all’avvio dell’Autonomia, giusto per capire come passare beni e personale dello Stato alla Regione. Dopo di che la Regione avrebbe camminato da sola, come uno Stato. Nessuno avrebbe mai pensato che lo Stato avrebbe bloccato lo Statuto rendendo permanente un organismo, la Commissione Paritetica Stato-Regione, che lo Statuto voleva provvisoria. Ma è proprio quello che avvenne.
Come da Statuto l’Alto Commissario e il Governo nominarono la prima Commissione paritetica, la cui presidenza fu affidata proprio a Guarino Amella. Guarino Amella, già nei mesi immediatamente successivi all’ottenimento dello Statuto, si mise all’opera. In pochi mesi aveva finito il lavoro. L’unico articolo che non poté attuare fu l’art. 40 perché i dati sulla bilancia commerciale regionale siciliana, indispensabili alla sua attuazione, più volte sollecitati al Banco di Sicilia, non furono mai trasmessi alla Commissione.
Dietro questo ostruzionismo del Banco c’erano gli ambienti della Banca d’Italia e della Presidenza della Repubblica (allora era capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, fervente antiautonomista, come il suo successore Luigi Einaudi). Si temeva che la Sicilia si facesse la Lira Siciliana con l’art. 40.
A un certo punto Guarino Amella non poté bloccare tutto per l’art. 40 e trasmise alla Presidenza il lavoro sin lì fatto.
De Nicola non volle saperne di emanare i relativi decreti attuativi, e dopo un lungo ingiustificato rinvio, finalmente, con il DLCPS 204 del 25 marzo 1947, li cestinò tutti tranne uno: quello che serviva ad eleggere gli organi politici della Regione. Così cominciò il boicottaggio dello Stato allo Statuto. Si attuava solo la parte “ornamentale”, i Deputati, l’ARS, il Governo della Regione, la Gazzetta Ufficiale, il “giuramento per il bene inseparabile” della Sicilia con l’Italia, e simili amenità.
Su tutto il resto, silenzio. Sulla parte finanziaria, neanche a parlarne.
E con questo decreto furono indette le prime elezioni regionali, nel maggio del 1947, quando ancora l’Assemblea Costituente non aveva chiuso i propri lavori.
Ma qui inizia un’altra storia.