Inauguriamo con questo articolo una serie di interventi in cui si racconta per filo e per segno la storia della mancata attuazione dello Statuto in materia finanziaria.
Cominciamo dall’inizio.
Con lo scioglimento dell’amministrazione della Luogotenenza, nel 1862, a seguito di uno stato di assedio dovuto alla cosiddetta “Rivolta dei Cutrara”, ciò che restava dell’amministrazione centrale regia, e poi viceregia, dell’antico Regno di Sicilia, sopravvissuto come “Luogotenenza” durante tutto il Regno delle Due Sicilie, veniva definitivamente sciolto. Nei primi due anni di vita lo Stato italiano aveva voluto dare così risposta alla ben più ampia domanda di autogoverno presentato dal Consiglio di Stato di Sicilia, che richiedeva una totale e ampia devoluzione legislativa, amministrativa, finanziaria e giudiziaria per l’ex Stato di Sicilia. Ora, alla prima occasione di disordini, anche questa moderatissima devoluzione amministrativa cessava di esistere, e con essa ogni forma di identità politica propria della Sicilia.
In pochi anni ciò che restava degli organi centrali dello Stato di Sicilia veniva a chiudere i battenti (ad esempio la Gran Corte dei Conti di Sicilia, erede di gloriosi istituti come la “Magna Curia dei Maestri Razionali”, poi “Tribunale del Real Patrimonio”, poi “Tribunale del Regio Erario e della Corona” nel 1812, infine “Gran Corte dei Conti” nelle Due Sicilie, avrebbe chiuso nel 1869). Sopravvivevano solo la Corte di Cassazione e il Banco di Sicilia come istituto di emissione.
Anche queste due istituzioni centrali sarebbero state chiuse nel tempo. Nel 1888 fu chiusa la sezione penale della Corte di Cassazione di Palermo. Nel 1921 toccò alla sezione civile. Nel 1926, infine, cessò la funzione di emissione monetaria del Banco di Sicilia, ultimo avanzo della Rivoluzione del 1848.
Tranne un breve periodo (1895-96) in cui fu tentata, a livello sperimentale una devoluzione amministrativa delle funzioni statali, con il c.d. “Alto Commissariato Civile per la Sicilia”, pertanto, durante il Regno d’Italia, grosso modo dal Plebiscito del 1860 allo sbarco alleato del 1943, la Sicilia come “Regione”, cioè come ente autonomo e separato dentro lo Stato italiano fu più aspirazione politica di molti volenterosi Siciliani che non realtà. L’amministrazione pubblica in Sicilia era tutta centralizzata a Roma, con risultati economici, sociali e civili a dir poco disastrosi.
Per la prima volta, dopo più di 80 anni, quindi, dal Luglio/Agosto del 1943 la Sicilia si ritrovò ad avere un’amministrazione propria e, temporaneamente, separata da quella italiana, nel cosiddetto AMGOT, cioè l’amministrazione civile anglo-americana dei territori occupati.
Come è noto, dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943, iniziarono le trattative tra l’Italia, ormai sotto protezione inglese e americana (e forse da allora ancora sotto tale protezione) e gli Alleati per la restituzione della Sicilia all’Italia. Ci fu, almeno fino a dicembre, un po’ di tentennamento iniziale. Il Regno Unito pressava per una soluzione separata per la Sicilia; gli USA, che miravano a controllare l’Italia intera non avevano ancora sciolto le proprie riserve. La controproposta russa, di avere compensi territoriali in Cirenaica, in cambio dell’indipendenza siciliana, fece pendere il pendolo definitivamente dalla parte dell’Italia, sia pure, forse, con qualche “rimorso” da parte alleata. I Separatisti furono ad ogni modo abbandonati al loro destino, anche se solo alla fine del 1944 la Presidenza americana avrebbe espressamente dichiarato che la Sicilia sarebbe dovuta continuare a far parte dell’Italia.
Formalmente nel febbraio del 1944 la Sicilia e la Calabria furono riconsegnate all’Italia. L’unica contropartita indicata (senza richiesta esplicita) all’Italia, fu la concessione alla Sicilia di una forte autonomia sostanziale. Nei fatti il passaggio delle consegne prese alcuni mesi. Il progetto di autogoverno del siculo-americano Vacirca fu così acquisito agli atti della nuova amministrazione italiana come prima bozza di uno Statuto autonomo per la Sicilia.
Per quanto riguarda la materia finanziaria il progetto, presentato ai rappresentanti dei Governi Alleati il 18 gennaio 1944 dalla “Federazione Socialista Siciliana” (cioè dallo stesso Joseph Vacirca), al punto 2.g prevedeva l’esistenza di
UN DIPARTIMENTO DELLE FINANZE E DEL TESORO CHE DOVRA’ PROVVEDERE ALLA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI, ALL’AMMINISTRAZIONE DEI MONOPOLI, AL DISCIPLINAMENTO DEI RISPARMI, ALLA SORVEGLIANZA DEGLI ISTITUTI BANCARI E D’OGNI QUALSIASI ALTRO ISTITUTO FINANZIARIO;
al punto 2.h
UN SISTEMA DOGANALE PROPRIO CHE, MENTRE NON POTRA’ ERIGERE BARRIERE AL LIBERO INTERSCAMBIO DEI PRODOTTI TRA LA SICILIA E IL RESTO DELLA NAZIONE ITALIANA, NE’ POTRA’ MAI IMPORRE DAZI DOGANALI SU UN PRODOTTO ESTERO SUPERIORI A QUELLI VIGENTI NEL RESTO DELLO STATO ITALIANO, POTRA’ SEMPRE APPLICARE, PERLA SICILIA, TARIFFE D’IMPORTAZIONI INFERIORI A QUELLE IMPOSTE ALLE IMPORTAZIONI STRANIERE NELLA PENISOLA ITALIANA.
Al punto 11 prevedeva che
TUTTE LE IMPOSTE DIRETTE E INDIRETTE, CHE DOVRA’ PAGARE IL POPOLO SICILIANO, SARANNO SANCITE SOLTANTO DALL’ASSEMBLEA LEGISLATIVA E PAGATE SOLTANTO AI FUNZIONARI ALL’UOPO INCARICATI DALL’AMMINISTRAZIONE SICILIANA, PER ESSERE VERSATI NELLA TESORERIA SICILIANA.
Al punto 12,
LA SICILIA PAGHERA’ GLOBALMENTE UN TRIBUTO ANNUO AL TESORO ITALIANO CHE SARA’ PROPORZIONATO ALLA RICCHEZZA TOTALE SICILIANA, ALLE TASSE CHE PAGHERANNO LE ALTRE REGIONI ITALIANE E AI SERVII CHE LO STATO ITALIANO RENDERA’ ALLA SICILIA
Al punto 13,
…LE GRANDI OPERE PUBBLICHE DI CARATTERE REGIONALE SARANNO DI STRETTA COMPETENZA DEL GOVERNO E DEL PARLAMENTO NAZIONALE,…
Questa “bozza di Statuto” sarà la bozza madre dalla quale in seguito si sarebbero dipartite tutte le altre. In essa rivivevano le richieste del Consiglio Straordinario di Stato del 1860, e comunque la previsione, già mantenuta dal Vespro (1296) al Congresso di Vienna (1816), che nessuna imposta si sarebbe potuta versare in Sicilia senza la sanzione da parte del Parlamento Siciliano; affermazione contenuta persino nell’atto costitutivo del Regno delle Due Sicilie del 1816 (anche se poi di fatto disattesa). Il passato, il presente e il futuro vibravano solennemente in queste semplici frasi.
Come si vede è di una semplicità lineare e inequivocabile. Con termini moderni esso significherebbe:
1. Totale regionalizzazione dell’Agenzia delle entrate e di ogni altro possibile organo finanziario dello Stato;
2. Totale regionalizzazione della vigilanza del credito e della finanza, alla pari di uno stato sovrano;
3. Zona doganale speciale, in unione con l’Italia (oggi si direbbe con l’Europa) e agevolazioni doganali selettive su alcuni prodotti destinati al consumo interno, possibilità quindi di costituire in Zona Franca tutte le merci in transito o deposito nell’Isola;
4. Totale autonomia tributaria nel fissare le imposte dirette e indirette;
5. Nessun intervento compensativo dello Stato a favore dell’Italia all’infuori della materia delle “Grandi opere pubbliche”, quel che l’Italia dà alla Sicilia, quindi, è solo il recupero del gap infrastrutturale perché questa possa correre “ad armi pari” con il resto del Paese;
6. Pagamento di un “compenso” allo Stato italiano per pagare, nei limiti delle proprie capacità e di quanto richiesto ad altre regioni, i pochissimi servizi che lo Stato italiano continua a rendere alla Sicilia (esteri e difesa, legislazione civile, penale o comunque non devoluta alla Regione).
Questo modello teniamolo bene in mente, perché – con poche varianti – è rimasto alla base dello Statuto poi effettivamente approvato e delinea una completa indipendenza, più che autonomia, delle finanze regionali.
Questo modello fu consegnato dagli Alleati all’Italia.
Tutta la successiva storia della Regione e dei rapporti finanziari tra Stato e Regione non sono altro che una lunga marcia del gambero, da questo punto di massimo fino alla polvere dei nostri giorni.
Nelle prossime puntate gli eventi successivi. Qui ricordiamo solo che:
1.In esecuzione degli accordi presi con gli Alleati, il 18 marzo 1944 l’amministrazione statale in Sicilia era devoluta nuovamente a un “Luogotenente” del Governo, chiamato “Alto Commissario per la Sicilia” (sul modello del precedente del 1895);
2. Questo Alto Commissariato mirava a ricostituire un nucleo di amministrazione statale siciliana da devolvere poi all’amministrazione regionale da istituire;
3. Solo la giustizia, la difesa e – primo colpo – “l’amministrazione finanziaria”, non vengono devolute alla sua supervisione e restano centralizzate a Roma;
4. Il Commissario, nominato dal Re su proposta del Capo del Governo d’intesa con il Ministro dell’Interno, è assistito da una Giunta di 9 membri e siede in Consiglio dei Ministri per le questioni riguardanti la Sicilia, ma senza diritto di voto (è “quasi” un Ministro, ed è, un po’ come gli antichi Viceré e Luogotenenti, nominato dal Governo esterno);
5. Con successivo perfezionamento, il successivo 28 dicembre 1944, sono TOLTE alla competenza dell’Alto Commissario le funzioni attinenti all’Istruzione superiore (cioè le Università e le Accademie) e alla Disciplina del credito e tutela del risparmio;
6. Con questo successivo provvedimento è istituito un “primo nucleo” del rinnovato Parlamento Siciliano, nella “Consulta Regionale”, di nomina governativa, ma su proposta dell’Alto Commissario, e scelta tra i “rappresentanti” delle organizzazioni politiche, economiche, sindacali e culturali e fra competenti ed esperti; si tratta quindi, sebbene “nominata”, di una sorta di “Stati generali della Sicilia”, largamente e veramente rappresentativa di tutte le forme associative politico-sindacali allora presenti in Sicilia, con l’unica esplicita esclusione del solo partito indipendentista, il MIS;
7. Su proposta della Consulta l’Alto Commissario può adottare “quasi-leggi”, chiamate “Disposizioni”, ad integrazione delle leggi dello Stato, concernenti l’agricoltura, le foreste, l’industria, il commercio, il lavoro, le comunicazioni e gli approvvigionamenti;
8. Dall’anno finanziario 1945/46 (allora l’anno finanziario andava dal 1° luglio al 30 giugno) vengono istituite nel bilancio dello Stato rubriche speciali, intestate all’Alto Commissariato, dando una primitiva autonomia finanziaria alla Sicilia; così pure viene costituito a Palermo un ufficio staccato del Tesoro, con funzioni di Ragioneria centrale, e una delegazione della Corte dei Conti, che così riapriva i battenti in Sicilia dopo essere stata chiusa nel 1869;
9. Sono emanate norme speciali che attribuiscono all’Alto Commissario il controllo della sezione Credito industriale del Banco di Sicilia, all’uopo istituita;
10. Sono disposti infine finanziamenti per le imprese industriali aventi sede in Sicilia, facilitazioni per le opere pubbliche, con esenzioni dall’imposta di registro, esenzioni doganali specifiche, possibilità di costituire depositi franchi, agevolazioni su tariffe di trasporti ferroviari e marittimi per le merci utilizzate per l’impianto di nuovi impianti industriali.
In una parola, quindi, lo Stato italiano, in piena guerra civile indipendentista, fa concessioni sostanziali all’economia e alla finanza siciliana. E allo stesso tempo riprende nelle mani o mantiene funzioni politiche cruciali per paura che l’Autonomia degeneri in Indipendenza.