“Siciliani Liberi” intende porre all’attenzione dei Siciliani tutti, senza alcun isterismo di un segno o dell’opposto, un fenomeno di assoluto rilievo di questi ultimi tempi.
Ognuno si tenga le proprie idee al riguardo. Noi facciamo però alcune osservazioni ed esprimiamo alcune forti preoccupazioni, vista la totale assenza dei “partiti italiani” su di un tema che riguarda il nostro futuro molto da vicino.
Prima i fatti, solo quelli per favore, ché già ci sono troppi pregiudizi in giro.
Il Governo saudita sta investendo in Sicilia. Partiamo da qui intanto. Le cifre di cui si parla si aggirano sui 30 milioni di euro per “restaurare i monumenti della Sicilia islamica”. Ma sarebbero solo una prima “tranche”. Filantropia? Afflato culturale? Vedremo. Gli investimenti sono particolarmente concentrati in provincia di Enna, strategicamente al cuore della Sicilia, ma riguardano in prospettiva tutta l’Isola. Pare che geopoliticamente controllare il centro di un territorio sia il migliore strumento per poi isolare progressivamente ogni “resistenza” ai margini; meglio se il “centro” è poco densamente popolato e la prevalenza di un elemento “alieno” è quindi più facile e rapida. Successe già nel XIV secolo in Asia Minore. La prima sede di stanziamento dei Turchi fu solo l’Anatolia dell’interno. Le popolazioni non turche, quasi tutte greche e cristiane, sopravvissero sulle coste, sempre più verso le coste, ma divise e soggette a continua pressione dall’interno che le ha fatto assottigliare sempre più sino alla totale scomparsa. Turismo e musei? Non solo, a quanto pare. In provincia di Enna deve sorgere la seconda moschea più grande d’Italia. Altre moschee sorgono o sorgeranno qua e là in tutta l’isola, sempre con capitale saudita. Molto spesso proprio vicino alle chiese storiche più importanti, come qualche giorno fa ci hanno raccontato sia accaduto in quel di Partinico. Non abbiamo verificato questa informazione in particolare, ma il dato sembra abbastanza verosimile e generale.
Poi ci sono i “centri di cultura islamica”, con campus universitari annessi.
Proprio a Valguarnera Caropepe ci sarà il grandioso Kingman Salman Cultural Islamic Center. I nostri sindaci – a quanto pare – affamati dallo stato italiano, hanno firmato preliminari di qua e di là, sentendo un profumo di soldi freschi che in Sicilia non si vede da … tempo immemore.
I Sauditi non sono soli in questa campagna. Sono in buona compagnia dei Qatarioti. I quali hanno da poco rilevato ad esempio il San Domenico di Taormina.
Fine dei fatti.
Naturalmente questi fatti sono altamente divisivi nell’opinione pubblica. A parte gli “indifferenti”, che non mancano mai, ci si divide subito tra “innocentisti” e “colpevolisti”. I primi vedono nient’altro che un salutare investimento estero che porta una ventata di ossigeno all’asfittica economia isolana. I secondi vedono un oscuro disegno islamista pronto a portare il jihad in Sicilia e a riconquistarla ai burqa e alla sharia.
Noi vorremmo mettere da parte entusiasmi e isterismi del tutto fuori luogo e valutare la situazione con l’attenzione che merita e per quella che è.
Sono solo investimenti commerciali? A nostro avviso NO. E’ evidentemente un progetto di penetrazione politica e culturale, soprattutto politica e culturale. Non siamo nati ieri e le ipocrisie non ci piacciono. Sappiamo bene che questi investimenti sono “di lungo termine”. La cultura occidentale è imbevuta dal concetto del “ritorno immediato” degli investimenti, il “Return on Investment”; nel Vicino Oriente non è così, pensano anche con l’occhio dei decenni, se non dei secoli.
Abbiamo qualcosa contro una religione in particolare, in questo caso quella islamica? Naturalmente NO. La religione attiene alla sfera delle convinzioni individuali, esercita spesso un importante ruolo di coesione sociale, e libero deve esserne il culto e ogni manifestazione culturale che non scada in proselitismi aggressivi o intolleranze di alcun tipo. Noi non entriamo minimamente nella teologia islamica, come non entriamo in quella cristiana o buddista. Esistono in Sicilia musulmani, talvolta neanche immigrati, perfettamente integrati e ottimi cittadini.
Però non possiamo fare a meno di notare che questo “fiume di soldi” arriva da paesi totalitari, paesi in cui non c’è alcuna libertà di religione, dove i diritti civili sono indietro di alcuni millenni, e i diritti politici praticamente inesistenti. Questi regimi, sia pure in maniera diversa, ci risulta siano finanziatori di destabilizzazioni di ogni tipo in paesi a prevalenza musulmana, o anche soltanto con presenze musulmane. Se non i governi in prima persona, finanziatori legati alla rendita dei petrodollari, provenienti proprio da questi paesi, hanno creato e foraggiato “mostri” quali Al Qaeda prima e l’ISIS dopo. Gli scellerati appoggi occidentali, ormai ben più che argomento di “complottisti”, non diminuiscono di un’acca le pesantissime responsabilità di questi ambienti, letteralmente “sporchi di sangue”.
E’ vero che oggi siamo poveri, poveri perché derubati dall’Italia, dall’Europa, dai comitati d’affari interni ed esterni che usano la Sicilia come un bancomat. Ma è questa una buona ragione per venderci al primo che passa? Facciamo un ragionamento. Se avessimo i soldi necessari, e volessimo restaurare in tutto il Medio Oriente, o come governo o attraverso nostri “filantropi” i non pochi monumenti di derivazione classica o cristiana di quei posti, con annessa costruzioni di “mega-chiese” o “centri di cultura cristiana”, sarebbe questo possibile, specialmente nei paesi della Penisola Arabica? Non è lecito – prima di spalancare le porte a investitori così “pelosi” – porre elementari condizioni di reciprocità? Se oggi centinaia di migliaia di Iracheni e Siriani fuggono in Europa, “colpevoli” in massima parte solo di essere sciiti, cristiani, yazidi, dando luogo ad una destabilizzazione interna senza precedenti, questi signori, capi e finanziatori del bellicoso e oscurantista wahabismo sunnita non ne sanno niente?
Ma poi siamo sicuri che lo stato italiano in questo colossale “acquisto” della Sicilia non c’entri proprio nulla? In fondo funziona così: l’Italia ruba alla Sicilia, l’Arabia saudita sopperisce e si compra la Sicilia. Non equivale questo ad essere “venduti”? Come se fossimo solo un “oggetto” di politica e non un “soggetto”?
Siamo sicuri che questa penetrazione, politica, e culturale, non abbia nel medio termine effetti devastanti su una Nazione, quella siciliana, già malmessa e condannata alla desertificazione demografica, e soprattutto non crei danni permanenti? Dopo aver resistito per secoli a invasori diversi, dopo aver affermato, e poi perduto, la nostra indipendenza a costo di indicibili sacrifici, vogliamo adesso “trasformarci geneticamente” in qualcosa di completamente diverso? E se sì, quand’è – di grazia – che ci è stato chiesto e l’abbiamo deciso dando il nostro assenso? E’ accettabile che “altri”, gli “affari” decidano per noi una cosa tanto inquietante e importante?
Ecco, noi abbiamo oggi forse più domande che risposte. Le risposte dovrebbero darle i Siciliani, correttamente informati su quello che sta succedendo e gli unici a poter decidere sulla Terra che è loro da sempre.
Il silenzio della politica italiana su un rischio talmente alto lo troviamo quindi più inquietante del rischio stesso. La nostra sensazione è che l’Italia, non essendo più in grado di mantenere la colonia Sicilia sfruttata da così tanto tempo, stia cercando di fare una grande asta con la quale privarsene al prezzo più alto possibile.
Siamo diventati italiani con una truffa (il plebiscito) e ne usciremmo con un oltraggio (la svendita)?
Noi non lo dobbiamo permettere.