Nei fatti il Duca di Puglia, Roberto, di Sicilia non si poté occupare troppo. Aiutò il fratello Ruggero sulle prime alla conquista dell’Isola, tenne per qualche tempo per sé la città di Palermo, poi solo mezza, e l’alta sovranità sull’Isola, ma non usò mai il titolo di “Duca di Sicilia”. La sua strategia di consolidamento dei possedimenti nell’Italia meridionale e i tentativi di espansione nei Balcani lo portavano lontano.
Fu Ruggero I invece il vero edificatore del nuovo Stato di Sicilia sulle ceneri dell’Emirato in frantumi. Dal 1060 (primo sbarco a Messina) al 1098 (presa di Malta) la sua vita fu un’epopea di conquiste dalle quali sarebbe uscita quella Sicilia che poi sarebbe arrivata sino alla contemporaneità. Al termine di questa epopea l’Apostolica Legazia (1098) riconosciuta da Urbano II garantiva ai sovrani siciliani un controllo autonomo sulla Chiesa siciliana che li rendeva piú simili agli imperatori d’oriente che non a sovrani occidentali.
Ruggero si appoggiò quanto poté su ciò che restava a Palermo dell’amministrazione saracena, molto piú efficiente di quella feudale ancora prevalente in tutta Europa, Italia meridionale inclusa. Anzi potremmo dire che la miscela tra elementi arabi, greco-siciliani, monaci benedettini francesi e la spada dei normanni creò la base per una potenza politica ed economica senza precedenti.
Anche l’amministrazione interna – la divisione in Valli ad esempio – fu complessivamente lasciata, pur se i sovrani normanni su questa ritagliarono una mappa di diocesi vescovili che, con qualche innesto successivo, è tutto sommato ancor oggi riconoscibile.
Ruggero non ebbe il tempo di sistemare i propri domini (morí infatti nel 1101) che rimasero separati tra Sicilia e Calabria. Su quest’ultima estese progressivamente la propria signoria, dapprima su quella meridionale con accordi con il fratello, del quale restava vassallo (non dimentichiamo che propriamente Roberto era Duca di Puglia e Calabria), dopo venne alle armi, strappandogli tutta quella che poi sarebbe diventata la “Calabria Ultra” (fino alla Sila) e ricusando la Signoria feudale sulla Sicilia, infine, mentre il nipote Ruggero Borsa, successore del fratello Roberto alla corte di Salerno stava per far andare in pezzi tutti i domini normanni, trasformò lo stesso Ducato di Puglia di fatto in un protettorato siciliano e si fece dare ciò che restava della Calabria sino a raggiungere quelli che sono gli attuali confini settentrionali di quella regione (la “Calabria Citra”).
Salvando l’imbelle nipote dagli attacchi esterni e dall’interna anarchia feudale, Ruggero dimostrò che, non fosse stato per la Sicilia, del dominio normanno non sarebbe rimasto piú nulla nel Meridione nel giro di appena una generazione. Il nipote omonimo, “forse” ancora signore feudale di Ruggero per la Calabria, ad ogni buon conto da allora prese solo il titolo di “Duca di Puglia”, non avendo nemmeno il coraggio di aggiungere il nome di una terra su cui aveva cessato di avere ogni sovranità. Nemmeno Ruggero però si proclamò “Duca di Calabria”. Sta solo di fatto che a Mileto aveva sede l’amministrazione comitale che in quegli anni governava la Calabria e che quel titolo (“Duca di Calabria”) da allora in poi sarebbe stato solo orpello onorifico per i principi ereditari del Regno di Napoli.
La situazione istituzionale in Sicilia era ancora piú fluida. Dopo aver riconosciuto l’autorità del fratello in appena qualche occasione, Ruggero ricusò quell’autorità considerando lo stato siciliano un paese del tutto indipendente. Questo venne organizzato però in maniera feudale, dividendo tra “conti” le terre conquistate ed attribuendo a sé solo un ruolo di primus inter pares. La capitale di questo stato era un po’ incerta tra Palermo, che prevaleva per inerzia dall’emirato da cui “sostanzialmente” derivava, e Messina, sede della prima conquista; incertezza che il Regno di Sicilia si sarebbe portata per troppi secoli a venire.
Questo periodo è rimasto famoso come “Gran Contea” dal nome del titolo che Ruggero, in quanto semplice conte, assunse per distinguersi dai suoi compagni. Ma pare che col tempo assumesse quello quasi repubblicano di “Console di Sicilia”, stante a significare la peculiare condizione collegiale di gestione del nuovo stato. E pure i successori di Ruggero I tennero sino al 1130 tale titolo curioso, con un’evidente incertezza istituzionale che non sarebbe potuta durare all’infinito.
E questa “gestione collegiale” comportò il rafforzamento dell’antica tradizione germanica, poi vichinga, poi normanna, di accompagnare con “colloqui” o “assise” (la prima a Mazara nel 1097) le decisioni politiche o amministrative piú importanti: non certo un vero Parlamento, perché solo assemblee di nobili e prelati, peraltro senza moderne funzioni costituzionali, ma certo una “cosa”, un embrione, che col tempo, in Sicilia come nella sorella monarchia inglese, sarebbe diventata tale.
Sarà Ruggero II a segnare la svolta definitiva ed a chiamare definitivamente con il suo nome quello che già esisteva: il Regno di Sicilia.
Troviamo negli scritti dei suoi cortigiani ed apolegeti la giustificazione per la creazione del nuovo Regno. Non dimentichiamo che nel Medio Evo non era pensabile una “rivoluzione”: ogni novità veniva pensata sempre come “ritorno alla vera tradizione”, come era stata la “renovatio imperii” di Carlo Magno e poi di Ottone di Sassonia: creature nuove che si rivestivano di antichi allori.
E così pure Ruggero, per bocca dell’ideologo Nilos Doxopatris, giustifica la legittimità dell’elevazione a Regno sull’autonomia della Sicilia come paese e come monarchia precedente alla conquista romana, come in queste note si è piú volte evidenziato. Già antico regno pre-romano e poi provincia dell’Impero, essendo cessata l’autorità diretta dell’Impero, essa era “per natura” regno e tale doveva essere riconosciuto.
Con la stessa motivazione, qualche anno piú tardi, Ruggero avrebbe aggiunto ai suoi titoli quello di Re di Africa, per il fatto di essersi impossessato di un’altra antica provincia romana di questo nome (poi persa insieme al titolo dal figlio Guglielmo il Malo).
Era il trionfo dell’impostazione ghibellina della Questione Siciliana. Ruggero II, tuttavia, proprio perché consapevole che altra impostazione, a lui meno favorevole, era possibile, aveva bisogno di dare legittimazione quanto piú ampia a questo stato di cose. Essendo in rotta di collisione con l’impostazione guelfa cara al papato, si fa riconoscere dall’antipapa Anacleto II (riconoscere, non investire) ma soprattutto convoca a Palermo non piú solo i nobili e i prelati ma altri uomini, dotti, rappresentanti delle città (oggi si direbbe della “società civile”) per discutere (o simulare una discussione) ed approvare (plebiscitariamente) l’incoronazione.
Per quanto possa essere stato tutto organizzato e preventivamente deciso, questo segna, forse involontariamente, una svolta rivoluzionaria nella storia istituzionale della Sicilia. A nostro sommesso avviso quello di Palermo del 1130 può definirsi un vero e proprio Parlamento, e così anche quelli a seguire, perché per la prima volta le città non sono piú rappresentate dal re ma inviano i loro rappresentanti. Poco rileva che si sia trattato di un parlamento ancora solo consultivo o che la rappresentanza non fosse democratica, poiché identiche caratteristiche avrebbero avuto i parlamenti inglesi a partire dal 1215 (Magna Charta libertatum): si tratta certamente del primo dei protoparlamenti di Antico Regime come quello inglese che sarebbe seguito, ma poi anche altri in Europa, come le Cortes spagnole o le Diete dell’Europa centrale. La Sicilia aveva inventato e donato al mondo il Parlamento. L’Alting islandese o il Parlamento delle Faer Oer erano solo assemblee come quelle che anche Ruggero I, al pari di tutti i Vichinghi e Normanni, aveva convocato. La presenza della “società civile” segna il passaggio da semplice assise a Parlamento (o “protoparlamento” visto che ancora aveva solo funzioni consultive). E sul Parlamento, sul consenso della Nazione, si fondava ora anche la legittimazione ultima della sovranità regia, altro fatto rivoluzionario non meno degno di menzione.
Nella pratica quel parlamento accolse solo rappresentanti Siciliani e Calabresi ed effettivamente da allora in poi le due terre appaiono amministrativamente unificate.
Diverso il discorso per il resto del Sud. Scomparso il cugino Ruggero Borsa, Ruggero II diventa anche “Duca di Puglia” e mette lo stesso Principato di Capua dei Drengot sotto la sua alta sovranità. Assemblea analoga alle antiche assise normanne fu tenuta a Salerno del 1129, e già aveva votato la perpetua unione degli stati continentali con la Sicilia che veniva già riconosciuta come Regno. Ed effettivamente, per tutto il periodo normanno, Puglia e Capua non saranno parte integrante del Regno di Sicilia bensí dipendenze, corone legate alla Sicilia da unione personale ed amministrate con i consueti costumi feudali. Il titolo ufficiale di Ruggero II fu quella di “Re di Sicilia” (di una grande Sicilia che includeva ora anche la Calabria), “Duca di Puglia” (anche qui, una “grande Puglia”, con capitale Salerno, che comprendeva Puglia, Basilicata, Molise e gran parte della Campania, più tardi anche Abruzzo), “Principe di Capua” (il resto della Campania, dall’odierna provincia di Napoli a salire, fino a gran parte dell’odierno Lazio meridionale, cioè Gaeta e la valle del Liri).
Non seguiremo nei dettagli la vita politica del Regno “normanno” di Sicilia se non per dire che in breve diventa la prima potenza del Mediterraneo e quindi, per i tempi, del mondo intero.
Il papa vero e proprio fu preso prigioniero e costretto a riconoscere il fatto compiuto nel 1139. Nello stesso anno cadeva il piccolo Ducato di Napoli. Anche il Principato di Capua nel frattempo veniva definitivamente integrato nei domini siciliani. I figli di Ruggero, cui egli delegò l’amministrazione delle “Puglie”, approfittarono poi della dissoluzione del Ducato di Spoleto per conquistare pure l’Abruzzo, da allora in avanti per sempre “meridionale”. Tutto il Sud Italia era ormai un “possedimento siciliano”. Più fragili i possedimenti balcanici e il Regno normanno d’Africa, che non sopravviveranno al grande Ruggero II.
Poco cambia dal punto di vista istituzionale nel passaggio dalla dinastia Altavilla a quella Hohenstaufen nel secolo successivo. Ormai la superpotenza siciliana è riconosciuta e raggiunge il culmine: i tre regni di Italia (il regno del Centro-Nord Italia), di Germania, di Borgogna (il cosiddetto Regno di Arelat), che insieme formavano il Sacro Romano Impero, e persino la Palestina del Regno di Gerusalemme sono ora in unione personale con la “grande” Sicilia (comprensiva quindi dei possedimenti in Italia meridionale), centro politico dell’intero mondo allora conosciuto, la Tunisia resa tributaria, la Sardegna regno satellite.
E tuttavia si devono registrare tre piccole ma significative novità.
La prima è che il Parlamento siciliano, nonostante il maggiore autoritarismo di Federico II, si stabilizza con un’importantissima funzione ormai non piú solo politica (Guglielmo II e Tancredi erano stati proclamati re su voto del Parlamento, come con il fondatore della monarchia) ma adesso anche legislativa: celeberrime le Costituzioni di Melfi che sarebbero resistite per secoli. E in piú la partecipazione dei comuni da eccezionale divenne ricorrente ancorché non ancora stabile.
La seconda è che, nonostante la formula teorica di “Re di Sicilia, Duca di Puglia e Principe di Capua” non venga intaccata, Federico in realtà unifica o tenta di unificare realmente le due parti del suo dominio da un punto di vista legislativo ed amministrativo. Non deve ingannare il dualismo ricorrenti di amministrazioni o corti, dettato da ragioni geografiche (ad esempio la presenza di due zecche, una a Messina e l’altra a Brindisi, la Corte di Palermo e quella di Foggia), perché con lui si persegue davvero il disegno di un’unica “Grande Sicilia” dal Tronto alle Pelagie (ultimo avanzo, sino ad oggi, dell’avventura africana del nonno Ruggero II). Il Sud Italia viene “sicilianizzato”, considerato ora Sicilia tout court a differenza che sotto i Normanni, e, sebbene l’Isola resti il centro politico del Regno, di fatto il baricentro dei domini fridericiani si sposta piú a nord costringendolo a residenze sempre piú frequenti nella parte continentale del Regno che, in ultima analisi, diluivano la reale “sicilianità” del Regno, soprattutto negli ultimi anni. Le lettere affettuose di Federico alle autorità civili e religiose palermitane nelle quali si ribadiva che la città era e restava “capitale” del Regno, affermano piuttosto proprio ciò che volevano negare e cioè che, per controllare la Germania e l’Italia, il punto strategico in cui l’Imperatore/Re doveva risiedere era quello delle “Puglie” e non più la Sicilia.
La terza, la piú importante, è che i rapporti con Roma segnano ora il punto piú basso. Durante la minore età di Federico, il tutore Innocenzo III aveva proclamato la subalternità feudale dell’intero Regno, isola compresa, e non più solo il Ducato di Puglia/Calabria e il Principato di Capua. Poi Federico aveva negato queste pretese ma, con la sua politica imperiale ed apertamente ghibellina, oltre alle scomuniche aveva visto crescere un fossato tra lui e il papato le cui pretese sulla Sicilia erano adesso totalmente deluse e sconfitte.
La sua morte, infatti, se non segnerà l’eclissi della grande creazione politica, segnerà però un’occasione di rivalsa per i non pochi nemici che la Sicilia nel tempo si era fatta, soprattutto in Italia.
Cronologia:
Dinastia Altavilla (Hauteville):
1059: Il papa dà a Roberto il Guiscardo, duca normanno di Puglia e Calabria l’investitura per “liberare” la Sicilia; compito che poi sostanzialmente Roberto affida a suo fratello minore, Ruggero, suo vassallo a Reggio Calabria e Mileto.
1060: Prima spedizione normanna in Sicilia, con questo primo atto nascerà quell’ordinamento giuridico che sopravviverà 800 anni, fino al Plebiscito del 1860.
1061-1101: Dominio di Ruggero I, come “Gran Conte” o “Console” di Sicilia.
1061-1091: Conquista militare di tutta la Sicilia e delle isole vicine.
1085: Al termine di vari avanzamenti di confine Ruggero I annette tutta la Calabria fino agli attuali confini settentrionali.
1098: Papa Urbano II concede a Ruggero I l’Apostolica Legazìa: il Sovrano di Sicilia è anche Capo di una Chiesa autocefala, caso unico nell’Occidente cattolico; questa condizione durerà, dal punto di vista del Papa, fino a una bolla del 1864, dal punto di vista dei Sovrani di Sicilia, fino al 1871, con la Legge delle Guarentigie dello Stato italiano.
1101-1112 Reggenza della Contessa Adelasia, fino al 1105 per il figlio Simone, e, dopo la morte di questo, per il figlio Ruggero II.
1105-1154 Ruggero II, dal 1130 RE DI SICILIA.
1126: Ruggero II diventa anche “Duca di Puglia” e rivendica l’alta sovranità sul Principato di Capua.
25 dicembre 1130: Nascono contemporaneamente il Regno di Sicilia e il Parlamento di Sicilia.
1139: Anche il Principato di Capua entra in unione perpetua con il Regno di Sicilia.
1154-1166: Guglielmo I il Malo.
1166-1172: Reggenza della Regina Margherita per il figlio Guglielmo II.
1166-1189: Guglielmo II il Buono.
1190-1194: Tancredi di Lecce per un certo tempo associato al trono col figlio Ruggero III e poi con l’altro figlio, Guglielmo III.
1194: Reggenza della Regina Sibilla, per il figlio Guglielmo III.
Dinastia Sveva (Hohenstaufen):
1194-1197: Enrico, Sacro Romano Imperatore col numerale VII).
1197-1198: Reggenza della Regina/Imperatrice Costanza (I, per distinguerla dalla II, moglie di Federico II, e dalla III, figlia di Manfredi e moglie di Pietro d’Aragona), per il figlio Federico.
1198-1210: Reggenza di Papa Innocenzo III, per contro di Federico, di cui è “padre adottivo”; nella realtà il Regno è in piena guerra civile.
1197-1250: Federico II (in realtà il numerale è come Sacro Romano Imperatore, dal 1220, ma gli resterà anche come Re di Sicilia).
1229: Oltre alle Corone “imperiali” (Sacro Romano Imperatore, Re d’Italia, Re di Germania, Re di Borgogna) e a quelle “siciliane” (Re di Sicilia, Duca di Puglia, Principe di Capua), Federico II ottiene la corona di “Re di Gerusalemme”, che i Re di Sicilia e di Napoli avrebbero rivendicato fino all’epoca napoleonica ed oltre.
1231: Costituzioni di Melfi. Il Parlamento Siciliano approva la più importante opera di codificazione giuridica dopo il Corpus Juris di Giustiniano.
1250-1254: Corrado di Svevia (IV come Sacro Romano Imperatore), governa come Vicario il fratellastro Manfredi.
1254-1258: Corradino di Svevia, governa come Vicario lo zio Manfredi.
1259-1266: Manfredi.
1266: Manfredi muore in battaglia a Benevento, sconfitto dagli Angioini (Francesi) chiamati dal papa.
(nell’immagine lo stemma degli Altavilla, la Casa Regnante di origine normanna)