La Corte dei Conti e i furti dello Stato: quello che la stampa non dice… (prima parte)

Se ci dovessimo fare un’idea di quello che ha detto la Corte dei Conti sul Rendiconto generale della Sicilia nel 2015 leggendo i giornali penseremmo alla solita solfa: critiche al solito malaffare, sprechi di qua, sprechi di là, e il qualunquismo del Bar dello Sport è servito.

 

 

Non è che la mala gestione non ci sia, beninteso, e non vogliamo certo difendere noi l’operato di uno dei governi peggiori che la Sicilia abbia avuto. Ma questo aspetto, sin troppo scontato, lo lasciamo alla stampa “inquadrata”.

Noi vogliamo andare alla sostanza delle cose, e la sostanza, non detta chiaramente quanto basta, ma comprensibile per chi sa decifrare i messaggi dal giuridichese, è molto chiara: La Sicilia oggi è in difficoltà, e lo sarà molto di più in futuro, essenzialmente per colpa della slealtà dello Stato italiano. I saldi contabili di per sé vanno ad aggiustarsi; ma del resto è semplice mettere a posto un bilancio così: basta non pagare più nessuno e interrompere i servizi pubblici. A questo prezzo, che manda all’aria la Sicilia, i conti si aggiustano, eccome.

Ma quello che non si aggiusta è la Sicilia, quello che ci dice questa relazione è molto grave, e noi indipendentisti siamo sempre più confortati dall’idea che stare in Italia comporta solo svantaggi. Non ci credete? Andiamo con le citazioni, quelle che difficilmente troverete nella “stampa comune”. E’ un discorso lungo, noi toccheremo solo fior da fiore, lo faremo in tre puntate, ma si tratta dei nostri soldi. Un po’ di pazienza è ben spesa. Intanto c’è il peggioramento dei conti della Regione dovuto al fatto che questa ha cancellato di colpo più di 5 miliardi di residui attivi. Che significa? Significa che per attuare una riforma della legge di contabilità di colpo abbiamo cancellato 5 miliardi di crediti ritenuti inesigibili. Ma qui il discorso si fa “oscuro”. Va bene cancellare i crediti finti, ma la nuova legge impediva di considerare inesigibili i crediti verso lo Stato. Quello che non abbiamo ben capito è quanti di questi crediti siano stati “abbuonati” allo Stato, e perché la Corte non ha indagato su questo. L’abbuono di crediti allo Stato è illegale, ricordiamolo, è proprio il D. Lgs. 118/11 a vietarlo. Una Regione (e i Comuni che da questa dipendono) non si può permettere di regalare niente allo Stato, tanto più perché questo è il contraente più forte e più ricco. Questo peggioramento patrimoniale “di colpo” ha determinato un disavanzo che è stato “ammortizzato” negli anni futuri.

Che significa questo? Significa che questo regalo allo Stato e così pure il pagamento dei debiti con interessi imposti dallo Stato (che avrebbe dovuto dare invece i relativi fondi in quanto dovuti) non pesano tutti oggi, ma condizionano le capacità della Sicilia per un’intera generazione a venire. In altre parole lo Stato consente oggi l’elemosina per sopravvivere ma ha già ipotecato tutto il nostro futuro, come debitori eterni, e quindi schiavi. Ma ricordiamolo, quel debito non è dovuto, ma è “imposto” dal ladro che ci ha tolto i fondi. Altro elemento è lo stress di liquidità. Che vuol dire? Vuol dire che la Regione anche quando ha i crediti non ha la cassa, perché i crediti sono inesigibili (e guarda caso sono quasi sempre crediti verso l’Agenzia delle Entrate, cioè verso lo Stato). Essa è costretta a farsi fare anticipazioni di liquidità dall’istituto tesoriere, cioè “scoperti di conto corrente”, cioè debiti per poter far fronte alle spese urgenti e indifferibili. Qual è la lezione che si coglie da questo spunto? Che se la Regione potesse disporre di leve finanziarie proprie, come le toccano per Statuto (ad esempio una “moneta complementare” sotto forma di Certificato di Credito Fiscale, ovvero anche solo l’anticipazione in c/c da parte della sua stessa Banca, l’IRFIS, a zero interessi) non pagherebbe una lira per questo indebitamento e potrebbe da un lato aspettare con calma che i propri crediti si monetizzino, dall’altro immettere liquidità nel sistema economico regionale, con beneficio per tutti, anziché fare andare “in trombosi”, per assenza di circolazione, l’intero sistema economico regionale.

La Corte, in sostanza, ci dice che il risanamento c’è, ma fondato su due cardini pericolosi: il taglio drastico e indiscriminato della spesa (che deteriora i servizi pubblici e paralizza i Comuni) e il rinvio degli oneri al futuro. La Corte non si pronuncia (e forse fa male) sul recente accordo Stato-Regione. Si ripromette di farlo in seguito. Sotto questo aspetto, quindi, la Relazione non è valutabile. Andiamo ora a vedere lo “Stato patrimoniale” della Regione, cioè la differenza tra le attività e le passività. Su questo la Regione presenta un patrimonio netto negativo, che nel 2015 Crocetta ha fatto passare da 0,82 miliardi a 8,18 con un peggioramento di 7,73! Come mai è diminuito in un solo anno il patrimonio regionale di quasi 8 miliardi? La spiegazione è riscontrabile in parte nella cancellazione dei crediti di cui si diceva sopra, in parte nelle contrazione di nuovi debiti che passano in un anno da 6,8 miliardi a 8,1 miliardi. In pratica Crocetta “tira a campare” facendo debiti e dice che ha risanato la Regione… Ma perché mai poi la Regione sarebbe in deficit? Le attività, soprattutto i beni immobili, non si saprebbe neanche bene quanto valgono, le passività, poi, per 3/4 sono fatti da mutui, già mutui fatti con enti dello Stato, come la Cassa Depositi e Prestiti, che gestisce il risparmio postale, anche risparmi dei Siciliani beninteso, di quello stesso Stato che nega alla Regione le risorse che le spettano facendola poi indebitare. Questo – piccolo appunto alla Corte – nella Relazione non c’è e lo aggiungiamo noi. Però dice abbastanza chiaramente che i tagli imposti dallo Stato sono devastanti: La riduzione degli spazi di spesa viste le spese vincolate, ha falcidiato le spese per gli investimenti, “con la conseguente impossibilità di indirizzare risorse per favorire la necessaria ed auspicata ripresa dell’economia”.

La Corte, ancora, certifica che la Sicilia perde 1,3 miliardi di entrate per “accantonamenti a favore dell’erario”, cioè “regali all’Italia”, non previsti dallo Statuto ma avallati dalla giurisprudenza costituzionale viste le attuali condizioni di difficoltà dello Stato. Va bene! Sono in difficoltà e li aiutiamo, ma che almeno sia riconosciuto che non siamo noi i “mangiapane a tradimento”. La risposta dello Stato, a tanta generosità (imposta) è la slealtà conclamata dello Stato: “La Struttura di gestione dell’Agenzia delle entrate, con modalità analoghe a quelle adottate lo scorso esercizio finanziario, ha iniziato a incamerare unilateralmente e fino a concorrenza dell’intero importo a titolo di concorso alla finanza pubblica, le entrate erariali di spettanza regionale, per complessivi 707,1 milioni di euro alla data del 10 novembre 2015”. In altra parte la Corte trova che, un po’ per “merito” degli accantonamenti, un po’ con altri “mezzi” adottati dallo Stato, questo ha ottenuto che mentre il gettito tributario nazionale aumenta del 6 % circa quello regionale diminuisce: “Nella Regione siciliana, invero, gli effetti positivi registrati in ambito statale hanno avuto scarsa incidenza, in forza del criterio di devoluzione delle entrate erariali in ragione del luogo della “riscossione”, secondo le disposizioni di attuazione dello Statuto (art. 36) attualmente vigenti. Già nelle relazioni degli esercizi precedenti, queste Sezioni riunite hanno avuto modo di sottolineare gli effetti distorsivi – sul gettito delle entrate tributarie di spettanza regionale – di alcuni provvedimenti normativi che hanno spostato, per intere categorie di contribuenti, il luogo di riscossione fuori dalla Sicilia, sottraendo, in tal modo, la quota di gettito fiscale dal coacervo dei tributi devoluti.Tali effetti risultano ancora più marcati se si tiene conto che le misure sopracitate introdotte dal Governo centrale hanno contribuito ad incrementare il gettito Irpef relativo a intere categorie di dipendenti pubblici, il cui sistema di riscossione è accentrato: di contro, nessun beneficio aggiuntivo si è trasferito sulla quota di gettito erariale spettante alla Regione”.

La Corte qui sta lanciando una accusa gravissima allo Stato: avrebbe fatto alcune manovre tributarie, spostando il luogo della riscossione in modo da lasciare, deliberatamente, a bocca asciutta la Sicilia, sottraendole entrate di sua spettanza, pur in presenza di un inasprimento fiscale, anche sulla Sicilia, attraverso un’applicazione distorta dell’art. 36 del nostro Statuto. Clamoroso!

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