La parentesi saracena (da quando questi sbarcarono a Mazara nell’827 a quando, già prima del 1100, nulla del loro dominio rimaneva piú in Sicilia) a rigore con la nostra storia c’entrerebbe poco o nulla.
Nella logica politica del Medio Evo, infatti, il mondo cristiano e quello musulmano erano divisi da un fossato incolmabile ed incommensurabile. Se è vero che ogni tanto si facevano trattati, tregue, come ad esempio quando più volte i bizantini di Calabria accettarono di pagare il tributo agli emiri di Sicilia, è anche vero che questi riconoscimenti di fatto non cancellavano l’inconciliabile diversità di diritto tra i due mondi, risolta in ultima analisi dal filo della spada.
Da una parte e dall’altra c’erano due mondi, due imperi potenzialmente universali, che si confrontavano senza riconoscersi mutuamente. Da un lato l’Impero romano e cristiano, sebbene con una frattura interna sempre più profonda tra “latini” del Sacro Romano Impero e “greci” dell’Impero Romano d’Oriente; dall’altro il Califfato arabo e musulmano, in cui la massima autorità politica coincideva con quella religiosa.
In questo senso, dal punto di vista cristiano, la conquista araba della Sicilia fu nient’altro che un’occupazione, una dominazione da riscattare con una “reconquista”, con una “liberazione” dei cristiani dal giogo del barbaro infedele. Mentre dal punto di vista opposto, quello musulmano, la Sicilia era stata una terra, l’ultima, strappata agli infedeli per mezzo della Guerra Santa, e quindi liberata all’unica Verità, quella proclamata dal Profeta e trasformata in terra di Islam.
Perché ne parliamo allora?
Ne parliamo perché, a dispetto delle concezioni politiche dei tempi, i fattori di continuità sostanziale sono molti di piú di quelli che potrebbero apparire in linea di principio. Con gli arabi nasce, o ri-nasce, uno Stato di Sicilia indipendente o per lo meno un ordinamento giuridico autonomo che, nella sostanza, arriva a durare circa un millennio, sino all’alba del XIX secolo. Con gli arabi si instaura una tradizione amministrativa e tributaria, quella del diwan di Palermo, che non sarà buttata via dai Normanni e che, con tutte le modificazioni del tempo, si sarebbe perfezionata ed avrebbe sfidato i secoli. Nessuno, per mille anni, avrebbe mai fatto una legge fuori dalla Sicilia che direttamente avesse vigore nel nostro territorio.
Ma vi è pure, seppure piú debole, una continuità all’indietro, tra Arabi e Bizantini, e non solo perché i Normanni si valsero della lingua e della cultura dei Cristiani grecofoni che erano “sopravvissuti” all’onda saracena o delle loro istituzioni civili e municipali, soprattutto nella Sicilia nord-orientale dove avevano meglio resistito. I normanni trovarono istituzioni municipali e “uffici” con nomi greci (valgano per tutti quello di “arconte” e di “logoteta” che non potevano certo essere state create dai Saraceni). Non solo tutto ciò, ma anche perché la divisione amministrativa adottata dagli Arabi, quella celebre dei tre Valli, altro non era che quella greco-romana adattata alle loro esigenze.
Il Val di Mazara e il Val di Noto, infatti, altro non erano che le due sub-province antiche “lilibetana” e “siracusana”, ridimensionate nei confini e con il capoluogo di poco spostato. Lilibeo era andata in rovina (sarebbe stata rifondata piú tardi dagli stessi arabi con il nome di Marsala) e la vicina e nuova Mazara ne aveva preso il posto; similmente per Siracusa, dopo l’agonia dell’assedio terminato nell’878, dove la vicina Noto ne aveva preso parimenti il posto.
La vera “novità” amministrativa era il Val Demone, che toglieva alla provincia siracusana tutto il territorio a nord dell’asse Dittaino-Catania e alla provincia lilibetana le Madonie arrivando cosí al fiume Imera. Questa novità era però dettata da una necessità militare. Il Val Demone non fu mai veramente conquistato a fondo dagli Arabi. Esso fu appena controllato militarmente solo verso il 1000 attraverso una serie di castelli lungo la costa, mentre le popolazioni interne si limitavano a pagare la Gezia (la tassa per cristiani ed ebrei) mantenendo la loro autonomia municipale. Esso era quindi una “marca di frontiera”, soggetta ad amministrazione militare e popolata da “infidi” siculo-greco-cristiani. Piú massiccia era stata invece la penetrazione demografica in Val di Noto e soprattutto nel Val di Mazara, dove – anche per la massiccia conversione di Siciliani originari – erano i cristiani ad essere ora ridotti in netta minoranza.
La storia istituzionale della Sicilia araba in sé è piuttosto semplice e all’insegna della rottura piú radicale che ci sia mai stata sullo Stretto di Messina: mai la Sicilia fu meno italiana, latina, occidentale, di quando faceva parte del mondo islamico.
All’inizio era una spedizione con un capo militare che comandava sulle poche città assoggettate per conto dell’Emiro di Kairuan che aveva ordinato la spedizione. Teoricamente, nei primissimi tempi, a questo “capo” si affiancava il “Cesare” Eufemio, collaborazionista e separatista, ma praticamente senza seguito tra i Siciliani che lo vedevano ormai solo come un traditore.
Dopo, soprattutto dopo la presa di Palermo dell’831, il quadro si andò stabilizzando.
La colonia musulmana, dotata di un consiglio dei maggiorenti, la Gemaa, eleggeva il proprio principe, o Emiro, il quale era in teoria una sorta di feudatario dell’Emiro africano di Kairuan che si limitava a riconoscerlo o ad inviarne qualcuno quando la colonia era in disaccordo al suo interno.
A sua volta l’Emiro di Kairuan, ancor piú teoricamente dipendeva dal Califfo di Baghdad, della dinastia degli Abbasìdi. Ma l’autorità di questi califfi sul Nordafrica, già prima della conquista della Sicilia, si era ridotta all’ambito religioso.
All’ombra dell’emirato tunisino, cui talvolta si facevano omaggi simbolici, la Sicilia stava riorganizzando, a mille anni circa dalle Guerre Puniche, il proprio stato sovrano, per ora semi-indipendente. Tre novità importanti si registrano, e vanno ricordate.
La prima è lo spostamento della capitale da Siracusa a Palermo. Man mano che gli imperiali si ritiravano la Sicilia palermitana avanzava e quella siracusana si ritirava. Questo cambiamento di asse si sarebbe rivelato assai duraturo, arrivando in sostanza sino ai nostri giorni.
La seconda è che, accanto ai coloni, provenienti dai quattro angoli del mondo islamico, poco a poco si fece strada, preponderante per numero, il “partito” dei “Siqilli”, cioè dei siciliani convertiti all’islam, molto probabilmente bilingui, e con un’influenza notevole nella gestione collegiale del potere tra vari signori o kaid della capitale palermitana e del suo consiglio.
La terza è il sistema di potere condiviso, sebbene oligarchico, che si richiamava – forse inconsapevolmente – alle antiche libertà dell’Isola. Come nell’Antichità Agatocle e gli altri re di Sicilia erano gli unici sovrani ellenistici costretti a convivere con assemblee di cittadini e magistrature, anche formalmente, elettive; così la Sicilia musulmana fu forse l’unica realtà quasi-repubblicana in un mondo di sultani-despoti.
L’emirato nordafricano si interessò in genere non molto dello stato isolano semi-indipendente. Ma proprio ai tempi della caduta dell’ultima roccaforte bizantina (902) avvenne in esso un cambio della guardia che segnò anche una svolta istituzionale in Sicilia.
L’emirato di Kairuan, teoricamente fedele ai califfi di Baghdad, crolla sotto l’impeto di una grande rivoluzione religiosa, che porta al potere in Nordafrica una dinastia di Califfi sciiti, dissidenti da quelli sunniti di Baghdad: i Fatimìdi.
Questi, in onore del loro capo fondatore, il Mahdi, fondano sulla costa tunisina una nuova capitale, Mahdìa, e sulle prime l’emirato siciliano fa omaggio ai nuovi padroni (909). Ma il Mahdi non si fida del tradizionale autonomismo dei Sikilli e vuole appuntare emiri che siano niente piú che suoi governatori, trasformando la Sicilia in una provincia del Nordafrica arabo.
Non l’avesse mai fatto. Dal 913 al 916, sotto Ibn Korhob, i Siciliani riescono a staccarsi dalla Tunisia proclamando un emiro indipendente che si richiama direttamente all’alta sovranità del lontano e innocuo califfo di Baghdad. Alla fine, la Sicilia è presa, con la corruzione e con la forza, grazie ai tradimenti dei maggiorenti siciliani che preferivano un re lontano che non li disturbasse a un pericoloso sovrano in casa: alle prime difficoltà e alla necessità di raccogliere armi e tasse i Siciliani abbandonano al loro destino l’emiro “separatista” che loro stessi avevano pregato di mettersi a capo della causa siciliana. Ma la “riconquista” non è sicura. Alla Sicilia il “Mahdi” deve accordare di nuovo l’autonomia, seppure questa volta con un emiro nominato dall’esterno.
Dopo qualche anno, però, i Fatimidi tentano di nuovo la strada dell’accentramento e non nominano piú emiri per la Sicilia governandola direttamente da Mahdìa (940). Dalle testimonianze che rinveniamo la conversione da sunniti a sciiti non era stata presa troppo sul serio dai Siqilli, e lo stesso Islam pare non fosse molto ortodosso, con la sopravvivenza dell’uso del vino, o di ricorrenze di sapore cristiano o addirittura pre-cristiano, come testimoniato da culti antichissimi che, attraverso varie vicissitudini, sarebbero sopravvissuti alla dominazione islamica e giunti sino ai giorni nostri. Ad ogni modo, l’esito di questo accentramento non è felice per gli Africani. Il risultato sono continue rivolte e disordini da cui in breve la nuova monarchia nordafricana non riuscirà piú a venire a capo.
Così nel 948 si affida la pacificazione dell’Isola ad un emiro, Hasan I, che instaurerà per la prima volta nella Sicilia un Governo dinastico, quello della famiglia dei Kalbiti. La Sicilia era così di fatto ancor piú indipendente di quanto non lo fosse stata sotto la blanda signoria degli Aghlabiti nel secolo precedente.
La dinastia siciliana dei Kalbiti all’inizio fece ovviamente omaggio di fedeltà ai califfi Fatimidi, ma a poco a poco se ne sganciò del tutto, formalmente e sostanzialmente. Quando i Fatimidi conquistarono l’Egitto, fondarono Il Cairo, e vi posero la capitale del loro impero, la loro sovranità sulla Sicilia diventò infine del tutto nominale.
Dal 948 al 1052, cioè sino alla vigilia della conquista normanna, i Kalbiti ressero la Sicilia in una forma peculiarissima di monarchia islamica e … costituzionale, visto che il senato dei notabili palermitani, la Gemaa, non fu mai sciolto e dovette sempre essere tenuto in gran conto dagli emiri se questi volevano dormire sonni tranquilli.
Col tempo gli emiri di Palermo presero il titolo di Sultani, cioè riconobbero ai Califfi soltanto un’autorità religiosa e non piú politica, e infine quella di Malek, cioè Re di Sicilia, assumendo una piena sovranità.
Il destino della Sicilia si compiva ancora una volta. Il Regno Siceliota era risorto dalle ceneri della provincia romana come una sorta di araba fenice nelle vesti di regno arabo-siculo, e, di nuovo in futuro, sarebbe risorto nelle vesti di regno latino e cristiano.
Nel 1052 i “baroni” della Gemaa destituiscono l’ultimo emiro kalbita, Hasan II, e l’isola entra in una guerra civile in cui tutti i governatori provinciali si proclamano emiri.
In questo caos la “Repubblica” islamica di Palermo riconosce di volta in volta a questo o a quell’emiro il titolo di Re di Sicilia, ma si tratta di un’autorità puramente nominale che non riesce a dare piú unità all’isola. Proprio uno di questi signori della guerra, Ibn Thimna, emiro di Siracusa, disconosciuto dai maggiorenti di Palermo a favore di Ibn Hawwasci di Castrogiovanni, chiama in aiuto i Normanni dalla vicina Calabria, facendo andare in rovina, in pochi decenni, ciò che restava del potente stato arabo al centro del Mediterraneo.
Lo sbarco dei Normanni a Messina, nel 1060, ci richiama nuovamente alla irrisolta Questione Siciliana, come la si vedeva allora dal punto di vista dei cristiani, e ci fa inaugurare una discussione sui profili di legittimità del Governo della Sicilia i cui strascichi praticamente sarebbero durati secoli e forse non si sarebbero mai del tutto conclusi.
Ma di questo parleremo la prossima volta.
Qui, per chiudere, vogliamo dare una cronologia, l’elenco dei sovrani dinastici della Sicilia araba, anche perché i loro nomi non sono ricordati quasi mai nei libri di storia:
Il primo assalto (827-831): 827, sbarco a Mazara; 828, assedio a Siracusa e uccisione di Eufemio; 831, conquista di Palermo
Conquista del Val di Mazara (831-841)
Conquista del Val di Noto (841-878): 859, conquista di Enna; 878, caduta di Siracusa, capitale della Sicilia greca
Conquista del Val Demone (878-902): 894-898 Rivolta separatista dei Siqilli, domata dal sultano Ibrahim; 902, caduta di Taormina, ultima città in mano all’Impero Romano d’Oriente
Passaggio dagli emiri Aghlabiti di Kairuan ai califfi Abbasìdi di Mahdìa (909)
Emirato indipendente di Ibn Korhob (913-916), poi ricondotto all’obbedienza
Hasan I (948-965), fondatore della dinastia kalbita;
Ahmed I (965-969), figlio del precedente, sotto di lui l’ultimo castello cristiano, Rometta, accetta di pagare il tributo ai musulmani;
Abu’l Kasem (970-982), fratello del precedente, si proclama “Sultano”;
Giaber (982-983), figlio del precedente, deposto dalla Gemaa dei Siciliani;
Giafar I (983-985), di un altro ramo della famiglia kalbita, inviato dal Cairo su richiesta dei Siciliani;
Abdallah (985-989), fratello del precedente;
Iusuf (989-997), figlio del precedente, con lui si raggiunge il massimo splendore dell’Emirato;
Giafar II (997-1019), figlio del precedente, assume il titolo di Re, deposto dai Siciliani;
Ahmed II Akhal (1019-1037), fratello del precedente, ucciso durante una guerra civile;
Breve invasione della Sicilia da parte degli emiri Ziriti del Nordafrica da una parte e degli eserciti dell’Impero Romano d’Oriente con Giorgio Maniace dall’altra (1037-1040);
Hasan II Samsan (1040-1052), fratello del precedente, ultimo debole sovrano kalbita, schiacciato dall’impossibilità frapposta dalla stessa Gemaa nel fare funzionare la macchina tributaria dello stato siciliano.
Continue guerre civili fino allo sbarco normanno (1052-1061)
(nell’immagine la bandiera dell’Emirato di Sicilia come riportata dal Marchese di Villabianca, ma non attestata storicamente)