Oggi ricorre l’anniversario della Rivoluzione del 1848, una rivoluzione europea, che cominciò proprio a Palermo, e una rivoluzione siciliana, per l’indipendenza.
La storiografia italiana la ricorda erroneamente come una rivoluzione per l’Unità d’Italia. Nulla di più falso. Fino al 1848 le classi dirigenti dell’Isola non avevano altro traguardo e altra legittimità se non quella del Regnum Siciliae, fondato nel 1130, rifondato nel Vespro su basi parlamentari, e arrivato quasi sino ai loro giorni.
Quella Rivoluzione fu corale: ad essa parteciparono tutti i ceti e tutte le città della Sicilia. Da Palermo a Pantelleria la voce fu unanime. Artigiani, clero, nobilità, borghesia, tutti a gran voce
non chiedevano che il ripristino di una legittimità violata. Alla fine furono sconfitti, ma negli accordi per la resa, quel 15 maggio del 1849, il Governo di Napoli concesse un’autonomia amministrativa, fiscale ed economica che era il frutto più maturo di quel sacrificio, quasi da Stato autonomo, pur con la perdita del Parlamento proprio che era l’essenza stessa dell’identità siciliana.
Ma il frutto più maturo di quella Rivoluzione fu la sua Costituzione. Lo Statuto del Regno di Sicilia fu il più grande contributo dei Siciliani alla storia delle costituzioni dei paesi liberi e democratici. Una costituzione così democratica la stessa Italia non l’avrebbe avuto se non nel 1947, quasi cento anni dopo. Tutti potevano votare e praticamente tutti potevano essere eletti. Tutte le libertà fondamentali erano garantite e persino quelle non scritte nella Costituzione erano in linea di principio libere, salva un’esplicita legge contraria. Un messaggio di indipendenza e di libertà che non è mai morto nei nostri cuori. E una Costituzione che, in teoria, è l’ultima legittima che la Sicilia abbia più avuto.
Il sacrificio degli eroi del 12 gennaio non è stato vano. La rivoluzione “a data fissa” non è stata dimenticata. Noi siamo qui, a ricordarla, a proiettarla nel futuro della Sicilia.